Andrea Riccardi, che ha partecipato alla cerimonia per la beatificazione di mons. Romero a San Salvador, insieme a una folta delegazione della Comunità di Sant'Egidio dall'America Latina e dal Salvador, ha affidato a "Famiglia Cristiana" alcune riflessioni sulla beatificazione del vescovo, martire della carità.
A San Salvador, in Centramerica, si è celebrata la beatificazione di monsignor Oscar Romero, arcivescovo della capitale, assassinato dagli squadroni della morte nel 1980 mentre celebrava la Messa. Dopo la sua morte, El Salvador precipitò nella guerra civile per dieci anni.
Ho partecipato alla beatificazione in mezzo a un popolo in festa: il più grande evento mai celebrato in questo piccolo Paese, divenuto per un giorno la "capitale spirituale" dell`America latina.
Specie negli ultimi suoi tre anni di arcivescovo di San Salvador, Romero ha suscitato tante passioni. I piccoli salvadoregni, senza voce e così oppressi, l'hanno amato perché parlava per loro, dicendo forte i loro dolori. E hanno continuato ad andare sulla sua tomba in cattedrale, considerandolo da subito il loro protettore.
Il vescovo è stato anche tanto odiato, in un Paese in cui si scriveva in un testo per i soldati: «Sii patriota, uccidi un prete!». Perché la Chiesa di Romero si era smarcata dal blocco di potere fatto da oligarchi, militari ed ecclesiastici. Parlava di giustizia. Questo aveva provocato l'ostilità della maggior parte dei suoi confratelli.
Romero era contro l'ideologia, ma denunciava la miseria del popolo: le prime due cause di morte erano la diarrea, "segno di denutrizione" - diceva - e la violenza, mentre il 50 per cento dei contadini non sapeva leggere. Romero, però, non è oggi solo un ricordo. Anche se è stato ucciso 35 anni fa, per i giovani è un simbolo di speranza. Ne ho visto tanti alla beatificazione. Quale speranza?
Innanzitutto quella di un cristianesimo evangelico che sappia difendere la pace. Sì, perché El Salvador è nuovamente minacciata dalla violenza diffusa delle maras, le bande mafiose di giovani che taglieggiano intere zone e che il Governo non riesce a debellare. Poi, per tanti nati dopo il 1980, Romero è il simbolo di un Salvador non più lasciato solo (come negli anni terribili dell`arcivescovo), ma che ha un significato per il mondo.
Nel febbraio 1980, a chi gli chiedeva se la pace non fosse un`utopia, Romero rispose: «Scusate, se io non credessi all`utopia, andrei vestito così?». Anche in situazioni tragiche o difficili, dalla fede cristiana e dal Vangelo sgorga un sogno di pace e di umanità. Papa Francesco, senza timore, ha parlato varie volte di "utopia". Per un sogno "evangelico" si può vivere e anche morire. Lo mostra Romero, martire e beato della Chiesa.
Papa Francesco ha parlato più volte di "utopia". Per un sogno "evangelico" si può vivere e anche morire.
A San Salvador, in Centramerica, si è celebrata la beatificazione di monsignor Oscar Romero, arcivescovo della capitale, assassinato dagli squadroni della morte nel 1980 mentre celebrava la Messa. Dopo la sua morte, El Salvador precipitò nella guerra civile per dieci anni.
Ho partecipato alla beatificazione in mezzo a un popolo in festa: il più grande evento mai celebrato in questo piccolo Paese, divenuto per un giorno la "capitale spirituale" dell`America latina.
Specie negli ultimi suoi tre anni di arcivescovo di San Salvador, Romero ha suscitato tante passioni. I piccoli salvadoregni, senza voce e così oppressi, l'hanno amato perché parlava per loro, dicendo forte i loro dolori. E hanno continuato ad andare sulla sua tomba in cattedrale, considerandolo da subito il loro protettore.
Il vescovo è stato anche tanto odiato, in un Paese in cui si scriveva in un testo per i soldati: «Sii patriota, uccidi un prete!». Perché la Chiesa di Romero si era smarcata dal blocco di potere fatto da oligarchi, militari ed ecclesiastici. Parlava di giustizia. Questo aveva provocato l'ostilità della maggior parte dei suoi confratelli.
Romero era contro l'ideologia, ma denunciava la miseria del popolo: le prime due cause di morte erano la diarrea, "segno di denutrizione" - diceva - e la violenza, mentre il 50 per cento dei contadini non sapeva leggere. Romero, però, non è oggi solo un ricordo. Anche se è stato ucciso 35 anni fa, per i giovani è un simbolo di speranza. Ne ho visto tanti alla beatificazione. Quale speranza?
Innanzitutto quella di un cristianesimo evangelico che sappia difendere la pace. Sì, perché El Salvador è nuovamente minacciata dalla violenza diffusa delle maras, le bande mafiose di giovani che taglieggiano intere zone e che il Governo non riesce a debellare. Poi, per tanti nati dopo il 1980, Romero è il simbolo di un Salvador non più lasciato solo (come negli anni terribili dell`arcivescovo), ma che ha un significato per il mondo.
Nel febbraio 1980, a chi gli chiedeva se la pace non fosse un`utopia, Romero rispose: «Scusate, se io non credessi all`utopia, andrei vestito così?». Anche in situazioni tragiche o difficili, dalla fede cristiana e dal Vangelo sgorga un sogno di pace e di umanità. Papa Francesco, senza timore, ha parlato varie volte di "utopia". Per un sogno "evangelico" si può vivere e anche morire. Lo mostra Romero, martire e beato della Chiesa.
Papa Francesco ha parlato più volte di "utopia". Per un sogno "evangelico" si può vivere e anche morire.
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