Un'intervista a Andrea Riccardi del Corriere di Bologna, dopo l'insediamento in diocesi di mons. Matteo Maria Zuppi.
Il fondatore della Comunità di Sant’Egidio racconta la sua amicizia con il nuovo vescovo arrivato in città
«Conosco Zuppi da quando aveva 15 anni e insieme al prete ho visto
crescere l’uomo». Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di
Sant’Egidio ed ex ministro per la Cooperazione internazionale e
l’integrazione del governo Monti, racconta chi è il nuovo vescovo di
Bologna. Un ritratto autentico e pieno di stima per una figura che
secondo Riccardi «saprà camminare tra la gente, non solo un prete di
strada ma un prete del mondo».
Quali sono i valori principali che il nuovo vescovo porterà a Bologna? «Conosco la sua storia, quella di una persona che ha vissuto il Vangelo fin da giovane. La storia di un impegno partito da giovanissimo e proseguito nel tempo. Di lui ricordo soprattutto la caparbietà nel ’92 in Mozambico per mettere fine a quel conflitto. Riusciva a tenere insieme tutto quello che poteva unire e ad allontanare ciò che divideva. A Bologna porta questo messaggio e soprattutto l’idea che l’uomo pur nella sua vulnerabilità può trovare la forza in Dio. Non credo che lui arrivi a Bologna con l’idea di un progetto preciso, a lui piace camminare insieme ai fedeli e con loro affrontare le difficoltà. Credo che viva questo impegno come una grande sfida».
La sua nomina e quella di Lorefice a Palermo sono state considerate scelte rivoluzionarie di Papa Francesco.
«Credo sia l’avventura di due poveri cristiani, nel senso nobile del termine, diventati vescovi. Molti si sono soffermati sull’immagine dei preti di strada. Secondo me hanno semplicemente la capacità di leggere il Vangelo fuori dalle chiese, di vedere intorno a loro quello che succede e di fare da guida. La scelta di andare a visitare la stazione di Bologna per ricordare le vittime della strage è un grande segnale che Zuppi ha voluto mandare alla città. È fatto così».
Inevitabilmente si fanno già i confronti con il predecessore, il cardinale Carlo Caffarra.
«Non è l’approccio giusto, perché ogni vescovo vive un tempo differente, in un modo diverso. Conoscendolo so che non vorrà rappresentare la rottura con il passato, ma la prosecuzione di un messaggio. Nei suoi discorsi ha ricordato Biffi e Caffarra, la dimostrazione che vuole continuare un lavoro».
Sembra molto evidente una sua grande capacità comunicativa. Rischia di mettere in ombra gli altri personaggi della città?
«Non è un tipo che vive per comunicare, non fa parte del suo personaggio. Semplicemente è molto spontaneo e dice quello che pensa. Non è massmediatico e non parlerà mai pensando a come le parole potranno servire alla stampa o per fare polemiche su alcuni temi».
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