Andrea Riccardi torna su un tema che gli sta a cuore, quello delle migrazioni e dei migranti. Non un'emergenza, ma un grande
passaggio storico. Va gestito, facendo crescere coscienza e cultura,
ma anche coinvolgendo insieme i Paesi di arrivo e di provenienza.
Un'utopia?
L'Europa ha la sensazione di essere assediata dai migranti e dai rifugiati. Le opinioni pubbliche sono molto sensibili: temono l'insicurezza, il terrorismo, la conflittualità interna con gruppi inassimilabili. I populismi soffiano su queste paure, chiedendo ai governi fermezza. Si ripete tante volte che i "miserabili" del mondo intero non possono riversarsi sull'Europa. Nascono politiche, condotte dagli Stati nazionali, spesso incapaci di fronteggiare il fenomeno. Soprattutto, c'è una percezione emotiva dell'invasione. Ma le masse umane in movimento non mirano solo all'Europa. Gli spostamenti in Africa sono massicci. In un campo del Nord del Mozambico, ho visto somali, eritrei, congolesi e altri. E, in Medio Oriente, Libano, Turchia e Giordania accolgono la gran parte dei rifugiati siriani. L'emergenza e l'emotività non sono il terreno su cui affrontare i problemi degli spostamenti di popolazione nel mondo globale. Le migrazioni sono una componente strutturale del nostro futuro. Ho trovato importante la prospettiva di un piccolo libro di Valerio Calzolaio e Telmo Pievani, Libertà di migrare, edito da Einaudi, che ruota attorno all'idea di "lungimiranza": «Non è certo», scrivono gli autori, «con la facile rincorsa al consenso di breve periodo né con le emozioni estemporanee che si potrà affrontare una realtà che sta evolvendo da due milioni di anni». Aggiungono: «La virtù necessaria in questa impresa è anche una delle più scarse del momento: la lungimiranza verso il passato e verso il futuro». Sì, anche verso il passato.
L'umano migra da sempre, mosso dalla ricerca di un ambiente migliore dove vivere, spostandosi a tentoni per migliaia di anni attraverso una terra che non conosce. L'umano e il camminare vanno di pari passo, anzi migrare è una metafora della vita, laddove via e vita spesso si confondono. Si legge in questo libro: «Il fenomeno migratorio umano è strutturale e costitutivo della nostra identità di genere».
Gli esseri umani si sono evoluti, migrando, mentre il cervello cresceva con la capacità migratoria e la flessibilità adattativa. È una vicenda di due milioni di anni. È quella di Abramo, cui ebraismo, cristianesimo e islam fanno riferimento: partì verso una terra che non conosceva e che sperava di trovare. Il prototipo dell'homo religiosus è un migrante. La famiglia di Giacobbe, figlio di Abramo, era di rifugiati ambientali alla ricerca di sostentamento in Egitto. L'uomo migra da sempre e continuerà a farlo, seppure in modo diverso. Non si può restare solo nella prospettiva del momento presente. Le categorie dello Stato nazionale, con le sue frontiere, unico regolatore dei flussi, non bastano più a governare un fenomeno, connaturale all'umano, anche se oggi in dimensioni globali. Se, di fronte all'economia globale, gli Stati azionali hanno rinunciato a tante prerogative, devono cercare modi e attori (globali) per affrontare il problema migratorio. Qui, c'è il ruolo dell'Unione Europea, che ha le dimensioni per trattare la questione e responsabilizzare i Paesi da cui provengono i migranti. Infatti, con la libertà di migrare, va affermata (e favorita) la libertà di restare. Eppure gli Stati europei non intendono delegare all'Unione una parte delle loro responsabilità e spesso nemmeno rispettare gli impegni presi. Sono convinti del forte impatto elettorale dei migranti. Ma bisognerà pure far maturare le opinioni pubbliche: è l'unica via per non restare stretti tra la pressione migratoria e quella delle paure.
A scuola, l'insegnamento non tiene conto che tanta parte della storia umana è stata fatta dalle migrazioni. Oggi, lo spostamento delle popolazioni non è la fine di un mondo, ma un grande passaggio storico. Va gestito, facendo crescere coscienza e cultura, ma anche coinvolgendo insieme i Paesi di arrivo e di provenienza. Un'utopia? In attesa di realizzare più larghe prospettive l'Italia, nel Mediterraneo, esercita una supplenza al posto di altri Stati, salvando vite umane.
Lo spostamento delle popolazioni va gestito, facendo crescere coscienza e cultura, e coinvolgendo i Paesi di arrivo e di provenienza
L'Europa ha la sensazione di essere assediata dai migranti e dai rifugiati. Le opinioni pubbliche sono molto sensibili: temono l'insicurezza, il terrorismo, la conflittualità interna con gruppi inassimilabili. I populismi soffiano su queste paure, chiedendo ai governi fermezza. Si ripete tante volte che i "miserabili" del mondo intero non possono riversarsi sull'Europa. Nascono politiche, condotte dagli Stati nazionali, spesso incapaci di fronteggiare il fenomeno. Soprattutto, c'è una percezione emotiva dell'invasione. Ma le masse umane in movimento non mirano solo all'Europa. Gli spostamenti in Africa sono massicci. In un campo del Nord del Mozambico, ho visto somali, eritrei, congolesi e altri. E, in Medio Oriente, Libano, Turchia e Giordania accolgono la gran parte dei rifugiati siriani. L'emergenza e l'emotività non sono il terreno su cui affrontare i problemi degli spostamenti di popolazione nel mondo globale. Le migrazioni sono una componente strutturale del nostro futuro. Ho trovato importante la prospettiva di un piccolo libro di Valerio Calzolaio e Telmo Pievani, Libertà di migrare, edito da Einaudi, che ruota attorno all'idea di "lungimiranza": «Non è certo», scrivono gli autori, «con la facile rincorsa al consenso di breve periodo né con le emozioni estemporanee che si potrà affrontare una realtà che sta evolvendo da due milioni di anni». Aggiungono: «La virtù necessaria in questa impresa è anche una delle più scarse del momento: la lungimiranza verso il passato e verso il futuro». Sì, anche verso il passato.
L'umano migra da sempre, mosso dalla ricerca di un ambiente migliore dove vivere, spostandosi a tentoni per migliaia di anni attraverso una terra che non conosce. L'umano e il camminare vanno di pari passo, anzi migrare è una metafora della vita, laddove via e vita spesso si confondono. Si legge in questo libro: «Il fenomeno migratorio umano è strutturale e costitutivo della nostra identità di genere».
Gli esseri umani si sono evoluti, migrando, mentre il cervello cresceva con la capacità migratoria e la flessibilità adattativa. È una vicenda di due milioni di anni. È quella di Abramo, cui ebraismo, cristianesimo e islam fanno riferimento: partì verso una terra che non conosceva e che sperava di trovare. Il prototipo dell'homo religiosus è un migrante. La famiglia di Giacobbe, figlio di Abramo, era di rifugiati ambientali alla ricerca di sostentamento in Egitto. L'uomo migra da sempre e continuerà a farlo, seppure in modo diverso. Non si può restare solo nella prospettiva del momento presente. Le categorie dello Stato nazionale, con le sue frontiere, unico regolatore dei flussi, non bastano più a governare un fenomeno, connaturale all'umano, anche se oggi in dimensioni globali. Se, di fronte all'economia globale, gli Stati azionali hanno rinunciato a tante prerogative, devono cercare modi e attori (globali) per affrontare il problema migratorio. Qui, c'è il ruolo dell'Unione Europea, che ha le dimensioni per trattare la questione e responsabilizzare i Paesi da cui provengono i migranti. Infatti, con la libertà di migrare, va affermata (e favorita) la libertà di restare. Eppure gli Stati europei non intendono delegare all'Unione una parte delle loro responsabilità e spesso nemmeno rispettare gli impegni presi. Sono convinti del forte impatto elettorale dei migranti. Ma bisognerà pure far maturare le opinioni pubbliche: è l'unica via per non restare stretti tra la pressione migratoria e quella delle paure.
A scuola, l'insegnamento non tiene conto che tanta parte della storia umana è stata fatta dalle migrazioni. Oggi, lo spostamento delle popolazioni non è la fine di un mondo, ma un grande passaggio storico. Va gestito, facendo crescere coscienza e cultura, ma anche coinvolgendo insieme i Paesi di arrivo e di provenienza. Un'utopia? In attesa di realizzare più larghe prospettive l'Italia, nel Mediterraneo, esercita una supplenza al posto di altri Stati, salvando vite umane.
Lo spostamento delle popolazioni va gestito, facendo crescere coscienza e cultura, e coinvolgendo i Paesi di arrivo e di provenienza
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