La politica del presidente Trump spinge l'Europa a prendersi le proprie responsabilità rispetto ai temi Africa e immigrazione. Ce ne parla Andrea Riccardi in un editoriale su Famiglia Cristiana dell'11/06/2017
La politica del presidente Usa spinge l'Europa a prendersi la sua parte di responsabilità
Germania e Stati Uniti sono al divorzio? L’atteggiamento di Trump verso la Merkel sembra l’espressione concreta del distacco tra la Casa Bianca e Berlino. Eppure, chi ha partecipato al G7 di Taormina assicura che i rapporti personali tra i due non sono così cattivi, nonostante l’evidente differenza di carattere.
Due temi, in particolare, rappresentano il contenzioso tra Stati Uniti e Germania: il relativo impegno tedesco per le spese della difesa (ma la Germania ospita le più importanti basi americane in Europa); il surplus commerciale tedesco verso gli Usa. Su quest’ultimo aspetto, anche gli europei vorrebbero che Berlino accrescesse la domanda interna per favorire le loro esportazioni. Ma il problema non si riduce solo a questo. C’è l'uscita americana dagli accordi di Parigi sul clima che vede la contrarietà di tutti gli europei. Infine Trump non condivide la posizione tedesca sull'immigrazione. Non si può però archiviare facilmente l'alleanza atlantica, cardine dell'Occidente dalla fine della Seconda guerra mondiale, che ha costituito un solido presidio nella Guerra fredda. C'è poi un debito storico europeo verso i liberatori dal nazifascismo, base di un'amicizia al di là delle politiche contingenti.
Sono avvenuti, però, fatti nuovi. Il mondo è divenuto multipolare. La Cina, con la "Via della seta", investe tanto sui Paesi europei. Il prossimo G20 di Amburgo ospiterà a luglio i Paesi che rappresentano l'80 per cento del Pil globale e due terzi della popolazione mondiale: evidenzierà il ruolo di Russia, Cina, India, Indonesia, Brasile, Sudafrica e altri. In questa sede, Pechino spingerà per promuovere il libero commercio e una globalizzazione più equa. Ad Amburgo Trump rischia l'isolamento, specie sull'ambiente e il commercio. Non si deve però sottovalutare l'imprevedibilità del presidente che, talvolta, si concretizza nella volontà di trovare un accordo con l'interlocutore. L'effetto Trump spinge gli europei a prendersi la loro parte di responsabilità. L'Europa non può essere una realtà fluttuante, ma deve consolidare le sue posizioni con la Germania della Merkel e la Francia di Macron. Non è una posizione antiamericana, ma forse un nuovo modo di essere occidentali e amici degli americani in un mondo multipolare. I Paesi europei dell'Est dovranno anch'essi fare le loro scelte. Non si può sprecare tempo nelle incertezze, perché l'Europa - se unita - ha ancora significative possibilità, anche se gli altri nel mondo crescono. Bisogna mostrare come il Mediterraneo sia un fronte decisivo. Ci vuole una politica verso l'Africa, un "piano Marshall", perché il problema migratorio non si risolve alle frontiere o, ancor peggio, in mare o nel deserto, bensì con una svolta nell'economia e nella tenuta sociale dei Paesi africani. Questa è una priorità europea.
La politica del presidente Usa spinge l'Europa a prendersi la sua parte di responsabilità
Germania e Stati Uniti sono al divorzio? L’atteggiamento di Trump verso la Merkel sembra l’espressione concreta del distacco tra la Casa Bianca e Berlino. Eppure, chi ha partecipato al G7 di Taormina assicura che i rapporti personali tra i due non sono così cattivi, nonostante l’evidente differenza di carattere.
Due temi, in particolare, rappresentano il contenzioso tra Stati Uniti e Germania: il relativo impegno tedesco per le spese della difesa (ma la Germania ospita le più importanti basi americane in Europa); il surplus commerciale tedesco verso gli Usa. Su quest’ultimo aspetto, anche gli europei vorrebbero che Berlino accrescesse la domanda interna per favorire le loro esportazioni. Ma il problema non si riduce solo a questo. C’è l'uscita americana dagli accordi di Parigi sul clima che vede la contrarietà di tutti gli europei. Infine Trump non condivide la posizione tedesca sull'immigrazione. Non si può però archiviare facilmente l'alleanza atlantica, cardine dell'Occidente dalla fine della Seconda guerra mondiale, che ha costituito un solido presidio nella Guerra fredda. C'è poi un debito storico europeo verso i liberatori dal nazifascismo, base di un'amicizia al di là delle politiche contingenti.
Sono avvenuti, però, fatti nuovi. Il mondo è divenuto multipolare. La Cina, con la "Via della seta", investe tanto sui Paesi europei. Il prossimo G20 di Amburgo ospiterà a luglio i Paesi che rappresentano l'80 per cento del Pil globale e due terzi della popolazione mondiale: evidenzierà il ruolo di Russia, Cina, India, Indonesia, Brasile, Sudafrica e altri. In questa sede, Pechino spingerà per promuovere il libero commercio e una globalizzazione più equa. Ad Amburgo Trump rischia l'isolamento, specie sull'ambiente e il commercio. Non si deve però sottovalutare l'imprevedibilità del presidente che, talvolta, si concretizza nella volontà di trovare un accordo con l'interlocutore. L'effetto Trump spinge gli europei a prendersi la loro parte di responsabilità. L'Europa non può essere una realtà fluttuante, ma deve consolidare le sue posizioni con la Germania della Merkel e la Francia di Macron. Non è una posizione antiamericana, ma forse un nuovo modo di essere occidentali e amici degli americani in un mondo multipolare. I Paesi europei dell'Est dovranno anch'essi fare le loro scelte. Non si può sprecare tempo nelle incertezze, perché l'Europa - se unita - ha ancora significative possibilità, anche se gli altri nel mondo crescono. Bisogna mostrare come il Mediterraneo sia un fronte decisivo. Ci vuole una politica verso l'Africa, un "piano Marshall", perché il problema migratorio non si risolve alle frontiere o, ancor peggio, in mare o nel deserto, bensì con una svolta nell'economia e nella tenuta sociale dei Paesi africani. Questa è una priorità europea.
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