Un articolo di Andrea Riccardi sul Corriere della Sera del 24 giugno 2013
In importanti Paesi del mondo, come il Brasile e la Turchia, esplode la protesta contro i governi. In Italia, quella rappresentata dal grillismo o dalla Lega, partito di lotta e di governo, sembra ridimensionarsi.
Oggi nel nostro Paese più che di protesta si deve parlare di deserto del disinteresse. Forse occorre riflettere di più sulle recenti elezioni amministrative come test all`inizio di una legislatura «impossibile» (per cui è stata trovata una soluzione davvero particolare per il governo e la presidenza della Repubblica). Il fatto principale è che ha votato solo il 48,6% degli italiani chiamati alle urne. Colpisce la disaffezione verso i Comuni che, con l`elezione diretta del sindaco, sembravano offrire una formula felice, quasi un modello sul piano nazionale. Aveva ragione Massimo Franco, quando scriveva che è un`indebita consolazione parlare di queste elezioni come di una scelta all`americana. È un errore rispetto alla nostra storia. Non si può dimenticare che le elezioni, a fronte di uno Stato fragile, sono state un ripetuto plebiscito nazionale. La nostra storia è diversa da quella di altri Paesi europei. Le ultime elezioni mostrano una preoccupante e consolidata tendenza. Non va archiviata la riflessione. L`astensione rivela un ulteriore divorzio della politica: questa volta dalla gente, il più traumatico. E viene dopo il divorzio dalla cultura. Non pagano più come prima né il matrimonio cori la televisione (all`inizio della seconda Repubblica e con Berlusconi) e né quello con la democrazia diretta via Internet. L`antagonismo teatrale della seconda Repubblica non suscita più passioni, come fosse un vecchio film visto troppe volte. Forse l`abilità di qualche attore potrà creare un effimero revival. Ma gran parte del Paese appare stanco e disinteressato. In questo quadro, l`affermazione elettorale del Pd sorprende, se si pensa alla crisi del partito nei mesi scorsi, all`impopolarità di un governo con la destra, alle divisioni interne e tant` altro. È vero che il partito ha beneficiato della ridotta affluenza elettorale (che relativizza la vittoria). Ma è evidente un fatto: il Pd, più di altri, esiste - seppure malamente - come soggetto politico tra la gente e parla di politica. La grande domanda di oggi, mentre lavorano i saggi per la riforma della Costituzione, è come far rientrare la politica nella vita degli italiani. La gestione del palazzo non basta. La politica non sembra utile alla vita quotidiana (tra l`altro si trova a secco di risorse da impegnare). Non risolve - così si dice - gli assillanti problemi di ogni giorno. Soprattutto grandi periferie umane restano senza voce e senza rappresentanza. Nonostante il mito della democrazia diretta, almeno la metà degli italiani sono estranei a un qualsivoglia riferimento politico. E le reti sociali non sono in buona salute o addirittura scomparse. Le appartenenze ideologiche restano un ricordo. Questa situazione è pericolosa per le istituzioni, ma soprattutto per la tenuta sociale. Il vuoto non è uno stato permanente né necessariamente si incanala verso forme «politiche» di protesta: può generare esplosioni simili a quelle di altri Paesi.
La grande domanda è «a che serve la politica?». C`è una comunicazione da riprendere con gli italiani. La politica è azione con ricadute sulla vita dei cittadini; ma è anche parola e passione, perché indica una visione del futuro. Non mera tecnicalità. Non solo economia, anche se ovviamente la gente è toccata quotidianamente dai problemi economici. chi ha parlato con autorità negli anni scorsi al Paese, trovando ascolto, è stato il Presidente della Repubblica. Oggi, però, la parola è ai partiti e alla politica. Ma, per i più, sono soggetti afoni. Non si tratta di riproporre modelli desueti, ma nemmeno di liquidare con facilità la ricerca di forme partitiche, che provino a riportare la politica vicino alla gente. Forme troppo liquide sono un ascensore sociale ad uso di aspiranti politici, ma hanno un impatto effimero sulla realtà. Forse i nuovi amministratori (e quelli eletti in precedenza) possono riaprire la comunicazione con i cittadini. Indubbiamente c`è un deficit di idee e di pensieri in tanta parte del mondo politico. Tanta povertà. Forse c`è anche l`idea che un basso profilo favorisca la permanenza nei dintorni del potere. Tuttavia i ritocchi alla Costituzione non possono avvenire nel quadro del disinteresse generalizzato. E poi il disinteresse, se non affrontato, troverà sempre nuove e imprevedibili strade per imporsi, nonostante le operazioni di ingegneria istituzionale. C`è bisogno di un nuovo fervore politico e intellettuale in cui si inquadrino i cambiamenti istituzionali. Soprattutto si deve ridire qual è il ruolo dell`Italia nel mondo globalizzato e in Europa, mentre rispieghiamo a noi stessi a che serve la politica.
In importanti Paesi del mondo, come il Brasile e la Turchia, esplode la protesta contro i governi. In Italia, quella rappresentata dal grillismo o dalla Lega, partito di lotta e di governo, sembra ridimensionarsi.
Oggi nel nostro Paese più che di protesta si deve parlare di deserto del disinteresse. Forse occorre riflettere di più sulle recenti elezioni amministrative come test all`inizio di una legislatura «impossibile» (per cui è stata trovata una soluzione davvero particolare per il governo e la presidenza della Repubblica). Il fatto principale è che ha votato solo il 48,6% degli italiani chiamati alle urne. Colpisce la disaffezione verso i Comuni che, con l`elezione diretta del sindaco, sembravano offrire una formula felice, quasi un modello sul piano nazionale. Aveva ragione Massimo Franco, quando scriveva che è un`indebita consolazione parlare di queste elezioni come di una scelta all`americana. È un errore rispetto alla nostra storia. Non si può dimenticare che le elezioni, a fronte di uno Stato fragile, sono state un ripetuto plebiscito nazionale. La nostra storia è diversa da quella di altri Paesi europei. Le ultime elezioni mostrano una preoccupante e consolidata tendenza. Non va archiviata la riflessione. L`astensione rivela un ulteriore divorzio della politica: questa volta dalla gente, il più traumatico. E viene dopo il divorzio dalla cultura. Non pagano più come prima né il matrimonio cori la televisione (all`inizio della seconda Repubblica e con Berlusconi) e né quello con la democrazia diretta via Internet. L`antagonismo teatrale della seconda Repubblica non suscita più passioni, come fosse un vecchio film visto troppe volte. Forse l`abilità di qualche attore potrà creare un effimero revival. Ma gran parte del Paese appare stanco e disinteressato. In questo quadro, l`affermazione elettorale del Pd sorprende, se si pensa alla crisi del partito nei mesi scorsi, all`impopolarità di un governo con la destra, alle divisioni interne e tant` altro. È vero che il partito ha beneficiato della ridotta affluenza elettorale (che relativizza la vittoria). Ma è evidente un fatto: il Pd, più di altri, esiste - seppure malamente - come soggetto politico tra la gente e parla di politica. La grande domanda di oggi, mentre lavorano i saggi per la riforma della Costituzione, è come far rientrare la politica nella vita degli italiani. La gestione del palazzo non basta. La politica non sembra utile alla vita quotidiana (tra l`altro si trova a secco di risorse da impegnare). Non risolve - così si dice - gli assillanti problemi di ogni giorno. Soprattutto grandi periferie umane restano senza voce e senza rappresentanza. Nonostante il mito della democrazia diretta, almeno la metà degli italiani sono estranei a un qualsivoglia riferimento politico. E le reti sociali non sono in buona salute o addirittura scomparse. Le appartenenze ideologiche restano un ricordo. Questa situazione è pericolosa per le istituzioni, ma soprattutto per la tenuta sociale. Il vuoto non è uno stato permanente né necessariamente si incanala verso forme «politiche» di protesta: può generare esplosioni simili a quelle di altri Paesi.
La grande domanda è «a che serve la politica?». C`è una comunicazione da riprendere con gli italiani. La politica è azione con ricadute sulla vita dei cittadini; ma è anche parola e passione, perché indica una visione del futuro. Non mera tecnicalità. Non solo economia, anche se ovviamente la gente è toccata quotidianamente dai problemi economici. chi ha parlato con autorità negli anni scorsi al Paese, trovando ascolto, è stato il Presidente della Repubblica. Oggi, però, la parola è ai partiti e alla politica. Ma, per i più, sono soggetti afoni. Non si tratta di riproporre modelli desueti, ma nemmeno di liquidare con facilità la ricerca di forme partitiche, che provino a riportare la politica vicino alla gente. Forme troppo liquide sono un ascensore sociale ad uso di aspiranti politici, ma hanno un impatto effimero sulla realtà. Forse i nuovi amministratori (e quelli eletti in precedenza) possono riaprire la comunicazione con i cittadini. Indubbiamente c`è un deficit di idee e di pensieri in tanta parte del mondo politico. Tanta povertà. Forse c`è anche l`idea che un basso profilo favorisca la permanenza nei dintorni del potere. Tuttavia i ritocchi alla Costituzione non possono avvenire nel quadro del disinteresse generalizzato. E poi il disinteresse, se non affrontato, troverà sempre nuove e imprevedibili strade per imporsi, nonostante le operazioni di ingegneria istituzionale. C`è bisogno di un nuovo fervore politico e intellettuale in cui si inquadrino i cambiamenti istituzionali. Soprattutto si deve ridire qual è il ruolo dell`Italia nel mondo globalizzato e in Europa, mentre rispieghiamo a noi stessi a che serve la politica.
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