Intervista di Giovanni Grasso a Andrea Riccardi su Avvenire 11 gennaio 2015
Lo storico, fondatore di Sant`Egidio: «L`Europa, chiusa in se stessa, ha trascurato l`integrazione. Nelle disumane periferie urbane il fanatismo rischia di diventare una risposta all`alienazione. Serve più coraggio in politica estera».
L'equazione musulmani uguale potenziali assassini non solo è inaccettabile a livello storico e culturale, ma è anche molto pericolosa. Chi la pronuncia si avvia fatalmente su un cammino di odio che porta solo a grandi tragedie. Ed è esattamente quello che vogliono gli estremisti:
costruire barriere di paura, odio e diffidenza, minare la pace, la sicurezza e la convivenza per arrivare alla guerra di civiltà». Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant`Egidio ed ex ministro dell`Integrazione, profondo conoscitore del mondo islamico, è oggi a Parigi per partecipare alla marcia contro il terrorismo. E spiega: «Siamo di fronte a una sfida molto complessa, che va affrontata con intelligenza e coraggio e che non si presta a semplificazioni controproducenti».
Professor Riccardi, non c`è il rischio di sottovalutare il terrorismo islamista?
Per combattere un nemico pericoloso e micidiale come questo bisogna conoscerlo. Dire che i musulmani sono assassini è un falso, più o meno come dire che gli ebrei sono usurai o gli italiani lavativi. La
radice di questo terrorismo non è la religione islamica, ma l`uso ideologico distorto che si fa di questa. Vale lo stesso discorso per gli immigrati: sostenere che i rifugiati, che fuggono dalle guerre e dalle persecuzioni in Africa o in Medio Oriente, sono potenziali terroristi significa chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Anche perché, come il caso della Francia ci insegna, i due terroristi erano cittadini francesi da due o tre
generazioni. Senza dimenticare che due morti in Francia, il poliziotto e un correttore di bozze, erano maghrebini.
E, dunque, cos`è che non ha funzionato?
Non c`è stata una visione complessiva. Credo che dobbiamo rivedere a fondo il problema dei modelli di integrazione, che hanno funzionato in modo discontinuo. Apartire dalle alienanti periferie urbane, ridotte ormai a un deserto disumano e disumanizzante. Le periferie di Parigi, così come quelle delle grandi città europee o mondiali, Roma compresa, sono state via via abbandonate dalle istituzioni, dai partiti, dalle forze sociali. In queste condizioni, aggravate dalla crisi economica e dalla crisi della famiglia, i giovani crescono ghettizzati, nell`odio, nella diffidenza e nella volontà di rivalsa. Nelle favelas brasiliane o nei sobborghi di Città del Messico molti giovani trovano una sorta di riscatto dall`anonimato e dalla solitudine arruolandosi nelle bande malavitose. A Parigi i giovani islamici lo fanno rifugiandosi nel fanatismo.
Per questo dico che bisogna fare ogni sforzo per la sicurezza, che implica il massimo di collaborazione trale intelligence e le polizie europee, ma anche puntare sull`integrazione.
Cosa si dovrebbe fare in Italia?
Proprio a cominciare dalle periferie, bisogna rompere i muri all`interno dei quali si sono rinchiuse, come in tanti ghetti, le diverse comunità etniche e religiose. E poi fare rete, parlare, creare occasioni di dialogo e di incontro con le istituzioni e tra gli italiani, vecchi e nuovi, riscoprendo il senso della comunità nazionale e del destino comune. Bisogna lavorare sull`educazione, sulla scuola, sulla lingua italiana, che è un veicolo formidabile di integrazione. Certo, serve un impegno costante e servono uomini e risorse. C`è oggi un`emergenza economica e una istituzionale, su cui c`è l`impegno del governo. Ma c`è anche l`emergenza integrazione, sulla quale si gioca tanta parte del futuro della nostra società. Senza alcuna nostalgia personale, dico che fu un`intuizione importante del governo Monti quella di prevedere che a livello di Consiglio dei ministri ci fosse una persona che si occupasse stabilmente di queste tematiche in accordo con quelle della cooperazione internazionale che è poi l`altra faccia della medaglia.
Una proposta concreta?
Ricordo che istituimmo la Consulta nazionale dei leader religiosi delle comunità immigrate che si incontravano periodicamente tra loro e con rappresentanti del governo. Partimmo dalla considerazione che i leader religiosi hanno una fortissima capacità di guida e di influenza nei confronti dei loro connazionali. Non possiamo pensare di isolare i violenti senza la collaborazione della loro comunità. Credo che un`esperienza del genere sia da riscoprire sia a livello nazionale che a livello locale, dove secondo me andrebbe potenziato il ruolo dei consigli territoriali dell`immigrazione, previsti a livello di prefetture.
A livello internazionale che cosa serve?
La mia impressione è che l`Europa negli ultimi anni si sia chiusa sdegnosamente come una fortezza, tagliando i ponti naturali con l`Africa e il Medio Oriente in fiamme. Ma è un`illusione poter pensare di andare avanti con le guerre alle porte di casa. Penso alla Libia, alla Nigeria, al Medio Oriente ma anche all`Ucraina. Bisogna che l`Ue riprenda a fare politica estera in grande.
E sull`Isis che opinione si è fatta?
Mi sembra anche anche lì l`Europa affronti la questione in modo rassegnato, limitandosi a sperare che l`aiuto dato ai peshmerga risolvi come per incanto tutti i problemi.
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