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Padre Barbieri, la globalizzazione e la cooperazione

 da Avvenire 9 gennaio 2015

Padre Vincenzo Barbieri (1931-2010) fu missionario fino all’ultimo giorno della sua vita, ma a modo suo: nel 1965 a Milano fondò «Coopi», una delle prime associazioni italiane di laici volontari per l’Africa e per l’America Latina, rimanendovi impegnato fino alla fine. Pochi lo sanno, ma è stato uno dei «padri» della cooperazione italiana. Uomo instancabile e «burbero benefico», non si accontentò di gestire la sua Ong, ma ha continuato a spendersi in prima persona nel contatto con i bisognosi, nelle attività di sensibilizzazione e di raccolta fondi, nella lotta per la giustizia. Ora esce in libreria una biografia intitolata «Ho solo seguito il vento. Vita di Vincenzo Barbieri, padre del volontariato internazionale» (editrice Emi, pagine 240, euro 14). Ne sono autori Claudio Ceravolo e Luciano Scalettari. Dal volume qui anticipiamo la prefazione di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio e già ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione.

La cooperazione viene da lontano; prima di essere una politica pubblica è nata come un grande movimento di solidarietà, fatto di gratuità, risorse, gusto dell’avventura e volontariato. Tra i protagonisti degli inizi di questa storia, nell’Italia in piena trasformazione degli anni Sessanta, si colloca la figura di padre Vincenzo Barbieri, definito un gesuita anomalo, portatore di una proposta lungimirante. Per lui la solidarietà con l’Africa o con i Paesi poveri non riguardava solo i preti missionari ma era una domanda aperta anche ai laici. Il mondo si poteva cambiare con l’impegno di tutti, soprattutto dei giovani. Anche loro, credenti oppure no, potevano partire, lavorare e spendersi per far crescere le realtà più povere del mondo.

I primi ragazzi che risposero all’appello di Barbieri provenivano dalla provincia milanese. Padre Barbieri sostenne la scintilla di passione di questi giovani per il mondo, il loro slancio orientato verso orizzonti più larghi, accompagnato da un profondo desiderio di cambiamento. È da questa esperienza che nacque una grande ong italiana, internazionalmente riconosciuta e stimata come Coopi, che ha contribuito a lanciare ponti, stabilire legami e allacciare relazioni con tante parti del mondo.

Padre Barbieri e i suoi giovani pionieri si inserirono in un movimento più vasto di esperienze dove le relazioni tra i popoli non sono solo affidate agli Stati ma diventano responsabilità delle persone, degli uomini e delle donne. Un modo nuovo di pensare l’Italia nel mondo alla base dell’idea di cooperazione internazionale.

Barbieri è stato definito il 'megafono della carità', per il suo stile capace di provocare le coscienze dell’Italia post-ideologica sulle contraddizioni e gli squilibri contemporanei. Non si vergognava di chiedere per i poveri: lo si poteva incontrare fuori dai teatri più importanti a domandare aiuto per i Paesi dell’Africa senza dimenticare i poveri vicino. Ha continuato a lavorare per le popolazioni del Kivu in Congo ma anche per gli immigrati di Milano, coinvolgendo tanti giovani. Ma oggi - ci si può chiedere - la globalizzazione non rende quasi inutile la cooperazione? Se il governo del mondo sembra affidato a forze più grandi, non è velleitaria l’azione internazionale di singoli o gruppi? Quello di padre Barbieri non rischia di essere un sogno bello ma ormai archiviato? Negli ultimi anni gli italiani si sono ripiegati su sé stessi. C’è stato un generale fenomeno d’introversione, che ha rimpicciolito progetti e sogni. La scarsità delle risorse è stato un ulteriore argomento per convincere che poco si poteva fare. Cooperare è invece essenziale nel mondo globalizzato. Un Paese che non coopera è un Paese che declina e la cooperazione è troppo importante per essere lasciata a pochi. Gli italiani, nella cooperazione, possono trovare una via di partecipazione alle vicende del mondo.

Padre Barbieri è stato un operatore instancabile di cooperazione internazionale scrutatore dei tempi, che diceva di seguire 'soltanto il vento', cercando di essere sempre aperto alle domande del mondo. La sua eredità e il suo messaggio rimangono importanti per i settemila cooperanti italiani, giovani e soprattutto donne, che costruiscono relazioni tra popoli e rappresentano l’aspetto migliore del nostro Paese nel mondo.

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