Il dovere di salvare Aleppo, crocevia di civiltà. Appello di Andrea Riccardi sul Corriere della Sera
Il segretario dell`Onu giudica «vergognoso» l`aggravarsi
delle sofferenze della popolazione siriana Concentrarsi su una città
non significa dimenticare la tragedia che riguarda un intero Paese
Aleppo sta morendo. Le notizie non sono del tutto chiare. Non è facile capire bene chi vinca sul terreno tra i vari gruppi ribelli, al Nusra e l`Isis o il regime di Assad (che però è sempre più alle corde). È chiaro invece che la città sta morendo. Aveva quasi tre milioni di abitanti, la più popolosa della Siria. Ed era tanto bella Aleppo! Lo era per i suoi monumenti storici, il fascino del suo grande bazar, la millenaria solennità della sua cittadella, dove la tradizione vuole abbia fatto sosta persino Abramo. Aleppo era bella anche per il messaggio che proveniva dalla sua vita: si poteva vivere insieme tra gente diversa. Per secoli e secoli, i musulmani avevano vissuto insieme con i cristiani e gli ebrei (progressivamente scacciati nel secondo dopoguerra, di cui resta una stupenda sinagoga). Durante la Prima guerra mondiale, Aleppo aveva salvato tanti armeni perseguitati. La comunità armena era importante, con la sua meravigliosa cattedrale, ora bombardata. L`Hotel Baron, frequentato da Lawrence d`Arabia, Agatha Christie, Kemal Ataturk e da tanti altri, era il luogo dove i proprietari armeni esercitavano la loro influenza per salvare i connazionali. Aleppo, dichiarata patrimonio universale dell`umanità nel 1986, era rimasta la città del «vivere insieme» anche negli anni grigi del regime. C`erano circa 300.000 cristiani, quasi il 10% della popolazione. Aleppo era un messaggio, scritto nella sua storia e tra i suoi abitanti. Ormai la città, che fu un crocevia (una tappa sulla via della seta verso Oriente), è isolata. La parte centrale, in mano al regime, è legata al Libano da un corridoio pericoloso. Il resto è nelle mani dei gruppi ribelli, di al Nusra, mentre l`Isis fa pressione. Due bombe dell`Isis sono scoppiate nella parte controllata dai ribelli, dove si è svolta pure una manifestazione in favore del califfato. L`Isis ha bombardato il quartiere cristiano, facendo decine di vittime. La gente è disperata. Metà della popolazione è fuggita. Di cristiani ne sono rimasti appena un quinto. Chi può fugge. Chi resta è povero o impoverito. Oppure è un eroe. Come Nabil Antaki (di antica famiglia cristiana) che resta a dirigere uno dei due ospedali funzionanti nella parte governativa. Amnesty International stima che siano morte più di 31.00 persone a causa dei bombardamenti del regime tra il gennaio 2014 e il marzo 2015. E poi tanti altri, colpiti dalle opposizioni. Nella regione di Aleppo - denuncia l`Onu c`è fame. Aleppo muore e nessuno fa niente. Si dice che non si può. La Siria è una delle rare situazioni in cui i Paesi occidentali, la Russia, la Turchia e i governi arabi, nonché l`Onu, abbiano dimostrato un`impotenza totale. Una pace globale sembra impossibile. E nessun governo vuole impegnarsi nelle cause difficili. E alcuni sperano di trarre qualche vantaggio dal caos, mentre i più restano ingabbiati in posizioni datate. Un anno fa avevo lanciato un appello per congelare la situazione militare di Aleppo e farne una zona di non combattimento. Molte adesioni e qualche sospetto che una parte si potesse avvantaggiare di tale situazione. È meglio allora desertificare la città? A febbraio, per interessamento di Staffan de Mistura, il regime di Assad ha dichiarato la tregua di sei settimane su Aleppo. Ma un gesto unilaterale non favorisce l`accettazione dalle altre parti. Eppure, la pacificazione di aree determinate è l`unica soluzione, finché non si trova l`accordo tra i tanti attori sul terreno e nel quadro internazionale. Se la pace globale è difficile, almeno si sottraggano pezzi di Siria all`orrore della guerra. Bisogna salvare quello che resta di Aleppo. Il primo luglio, il segretario generale dell`Organizzazione delle nazioni unite, Ban Ki-moon, ha lanciato un appello per la Siria, giudicando «vergognoso» l`aggravarsi delle sofferenze della popolazione siriana, la cui metà è fuggita e che ha avuto ben 220 mila morti. È vero: è una vergogna. Ci stiamo però abituando che l`orrore avvenga sotto i nostri occhi, magari lamentandoci dei rifugiati che arrivano sulle nostre coste (ma sono pochi rispetto al numero complessivo; e dove devono andare?). Salvare Aleppo non è dimenticare la Siria, ma dare un segno di una possibile evoluzione positiva del Paese. Questo richiede un`azione laboriosa per mettere insieme i tanti soggetti sul terreno e nella comunità internazionale; domanda anche la volontà politica di imporre soluzioni di pace; esige poi il coraggio di un`iniziativa che manca nel balletto multilaterale. Con Aleppo e la sua gente, sta morendo la credibilità della politica internazionale.
di Andrea Riccardi
Aleppo sta morendo. Le notizie non sono del tutto chiare. Non è facile capire bene chi vinca sul terreno tra i vari gruppi ribelli, al Nusra e l`Isis o il regime di Assad (che però è sempre più alle corde). È chiaro invece che la città sta morendo. Aveva quasi tre milioni di abitanti, la più popolosa della Siria. Ed era tanto bella Aleppo! Lo era per i suoi monumenti storici, il fascino del suo grande bazar, la millenaria solennità della sua cittadella, dove la tradizione vuole abbia fatto sosta persino Abramo. Aleppo era bella anche per il messaggio che proveniva dalla sua vita: si poteva vivere insieme tra gente diversa. Per secoli e secoli, i musulmani avevano vissuto insieme con i cristiani e gli ebrei (progressivamente scacciati nel secondo dopoguerra, di cui resta una stupenda sinagoga). Durante la Prima guerra mondiale, Aleppo aveva salvato tanti armeni perseguitati. La comunità armena era importante, con la sua meravigliosa cattedrale, ora bombardata. L`Hotel Baron, frequentato da Lawrence d`Arabia, Agatha Christie, Kemal Ataturk e da tanti altri, era il luogo dove i proprietari armeni esercitavano la loro influenza per salvare i connazionali. Aleppo, dichiarata patrimonio universale dell`umanità nel 1986, era rimasta la città del «vivere insieme» anche negli anni grigi del regime. C`erano circa 300.000 cristiani, quasi il 10% della popolazione. Aleppo era un messaggio, scritto nella sua storia e tra i suoi abitanti. Ormai la città, che fu un crocevia (una tappa sulla via della seta verso Oriente), è isolata. La parte centrale, in mano al regime, è legata al Libano da un corridoio pericoloso. Il resto è nelle mani dei gruppi ribelli, di al Nusra, mentre l`Isis fa pressione. Due bombe dell`Isis sono scoppiate nella parte controllata dai ribelli, dove si è svolta pure una manifestazione in favore del califfato. L`Isis ha bombardato il quartiere cristiano, facendo decine di vittime. La gente è disperata. Metà della popolazione è fuggita. Di cristiani ne sono rimasti appena un quinto. Chi può fugge. Chi resta è povero o impoverito. Oppure è un eroe. Come Nabil Antaki (di antica famiglia cristiana) che resta a dirigere uno dei due ospedali funzionanti nella parte governativa. Amnesty International stima che siano morte più di 31.00 persone a causa dei bombardamenti del regime tra il gennaio 2014 e il marzo 2015. E poi tanti altri, colpiti dalle opposizioni. Nella regione di Aleppo - denuncia l`Onu c`è fame. Aleppo muore e nessuno fa niente. Si dice che non si può. La Siria è una delle rare situazioni in cui i Paesi occidentali, la Russia, la Turchia e i governi arabi, nonché l`Onu, abbiano dimostrato un`impotenza totale. Una pace globale sembra impossibile. E nessun governo vuole impegnarsi nelle cause difficili. E alcuni sperano di trarre qualche vantaggio dal caos, mentre i più restano ingabbiati in posizioni datate. Un anno fa avevo lanciato un appello per congelare la situazione militare di Aleppo e farne una zona di non combattimento. Molte adesioni e qualche sospetto che una parte si potesse avvantaggiare di tale situazione. È meglio allora desertificare la città? A febbraio, per interessamento di Staffan de Mistura, il regime di Assad ha dichiarato la tregua di sei settimane su Aleppo. Ma un gesto unilaterale non favorisce l`accettazione dalle altre parti. Eppure, la pacificazione di aree determinate è l`unica soluzione, finché non si trova l`accordo tra i tanti attori sul terreno e nel quadro internazionale. Se la pace globale è difficile, almeno si sottraggano pezzi di Siria all`orrore della guerra. Bisogna salvare quello che resta di Aleppo. Il primo luglio, il segretario generale dell`Organizzazione delle nazioni unite, Ban Ki-moon, ha lanciato un appello per la Siria, giudicando «vergognoso» l`aggravarsi delle sofferenze della popolazione siriana, la cui metà è fuggita e che ha avuto ben 220 mila morti. È vero: è una vergogna. Ci stiamo però abituando che l`orrore avvenga sotto i nostri occhi, magari lamentandoci dei rifugiati che arrivano sulle nostre coste (ma sono pochi rispetto al numero complessivo; e dove devono andare?). Salvare Aleppo non è dimenticare la Siria, ma dare un segno di una possibile evoluzione positiva del Paese. Questo richiede un`azione laboriosa per mettere insieme i tanti soggetti sul terreno e nella comunità internazionale; domanda anche la volontà politica di imporre soluzioni di pace; esige poi il coraggio di un`iniziativa che manca nel balletto multilaterale. Con Aleppo e la sua gente, sta morendo la credibilità della politica internazionale.
di Andrea Riccardi
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