Andrea Riccardi / Religioni e civiltà
Nei Paesi dell'Est, l'appartenenza allo stesso popolo è l'elemento con cui ci si sente connazionali. In Francia, invece, ad accomunare è la cittadinanza
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Un corteo di cattolici in abiti
tradizionali in occasione della Messa delle Palme, a Lyse, in Polonia,
la città dove è nato papa Giovanni Paolo Il. |
Abbiamo tanto parlato di Europa negli ultimi mesi: per la Grecia, per
la responsabilità dei Paesi dell'Unione verso i rifugiati... Ci sono
questioni più grandi della dimensione e della capacità del singolo
Stato da affrontare insieme. Su questi problemi si registrano, com'è
normale, posizioni differenti. Ma emergono anche diverse e radicate
sensibilità. Sulla questione dei rifugiati, non si tratta solo di
politiche di governo, ma anche di un sentire profondo della gente. Lo
si è visto nel modo differente di affrontare la questione dei
rifugiati. I paesi dell'Est, con diverse sfumature, hanno espresso
molta preoccupazione di fronte alle ondate di profughi che si
riversano in Europa. Ci sono motivi storici. Questi paesi si sono
liberati dal comunismo solo nel 1989. Hanno aderito all`Unione Europea
e sono stati tanto aiutati da essa. Tuttavia talvolta sentono
fastidio verso Bruxelles, come un potere extranazionale cui far
riferimento. Non tutti pensano così. Ma è diffuso il senso della
libertà nazionale riconquistata. C`è però anche qualcosa che viene da lontano: il senso etnico della nazione. In Europa occidentale siamo
convinti che -sul modello francese- sia la cittadinanza a fare i
connazionali, non l'etnia, anche se esiste un'evidente base storica,
culturale, linguistica. Basterebbe pensare all'impegno della Francia
per la sua lingua. Nell'Est europeo, senza negare i valori della
cittadinanza, c'è di più l'idea del legame tra etnia e nazione. Pesa
anche la storia. Cechi, slovacchi, ungheresi, polacchi, croati,
sloveni si sono liberati dagli imperi multinazionali, come quello
degli Asburgo. Alcuni popoli si sono emancipati dalla Jugoslavia
multinazionale. Altri, come i serbi, i romeni, i bulgari, gli albanesi
hanno lottato contro l'impero (multinazionale) ottomano. I Paesi
battici e la Polonia hanno una storia di dominazione russo-sovietica.
Per parecchi di questi popoli, la Russia resta una minaccia, di cui la
guerra russoucraina è una concretizzazione.
IL VALORE DELL'UNITÀ. La religione ha un legame profondo con la nazione.
Lo si vede nella Polonia, intrisa di cattolicesimo di popolo. Ma
anche in paesi secolarizzati, come l'Ungheria, il cristianesimo resta
un elemento
importante dell'identità nazionale. Le Chiese ortodosse autocefale
(nazionali e autonome) hanno un rapporto stretto con l'identità
nazionale, come nella Romania latina o in Serbia e Bulgaria. I
rifugiati, specie se musulmani, potrebbero alterare i caratteri
religiosi e, quindi, etnici delle nazioni. C'è lo spettro della
dominazione turco-ottomana nei Balcani e l'attacco all'Europa. Si
ricorda la lotta "cristiana" contro i turchi. Tappe epiche sono la
battaglia della Piana dei Merli, dove nel 1389 i serbi furono sconfitti
dagli ottomani (quel dramma però forgiò la coscienza nazionale serba,
tanto che la Chiesa ortodossa ha canonizzato il condottiero serbo,
principe Lazar) o l'assedio di Buda del 1686, quando i turchi furono
scacciati dalla città, liberando l'Europa dalla temuta minaccia
ottomana. È una storia lontana che sembra non passare. Per alcuni
ritorna. Ma forse la nuova storia globale richiede un salto di
consapevolezza. E poi la grande garanzia per i nostri popoli europei,
di fronte a un mondo complesso e incerto, è proprio l'unità del
continente.
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