Roma è in una situazione di «caos triste». Certamente contribuisce
l'«immagine, che non è bella, perché la città è mal tenuta». Ma per
Andrea Riccardi - romano, docente di Storia contemporanea e fondatore
della Comunità di Sant'Egidio
nel cuore di Trastevere - c`è un malessere spirituale più profondo
che rode l'anima della città, spegne le energie, le disperde in tanti
mondi separati ed emerge, poi, nei grandi scandali della corruzione.
Questa «non è stata estirpata dai grandi lavacri come Mani pulite», mentre «può esserlo da uno spirito condiviso, dal senso della comunità». Per questo Riccardi, che è anche stato ministro per la Cooperazione internazionale e l'integrazione, riprende la sua idea di uno «sforzo costituente» per la città, con il quale mettere insieme tutte le energie migliori per «fare sistema». Cosa che al momento, è la sua analisi, non avviene.
Professore, c'entra anche il carattere dei romani, considerati da sempre un po` cinici e menefreghisti? Il carattere storico del romano, che lei tratteggia, è fatto anche di ironia e allegria. Io questa contentezza non la vedo più. Vedo al contrario molta rabbia, costante aggressività e conflittualità, basti pensare al traffico. C`è anche un individualismo diffuso, a partire dal quale si può sviluppare la corruzione. La città è un caos triste. E tutti quelli che hanno avuto una responsabilità a Roma si devono interrogare. Milano invece torna a fiorire. E si rispolverano immagini del periodo postunitario, come la "capitale morale".
Come la vede?
Penso che la contrapposizione tra Roma e Milano appartenga al passato e non abbia senso. L'Italia ha bisogno di entrambe. Sono contento del fatto che a Milano c'è un vento di ripresa. Mentre a Roma questo non c`è.
A cosa si deve?
Il problema è che gli ambienti positivi, di eccellenza, che pure non mancano, si rintanano nei loro circuiti. Le reti sociali sono in crisi, frammentate. Il sistema nervoso della città non è percorso da un sentimento di speranza. Sono molto preoccupato. Roma sta male.
Quale cura serve, allora?
Vanno messi insieme gli aspetti positivi della città in uno sforzo costituente, altrimenti restiamo in una condizione di abbandono. Un uomo solo al comando non ce la fa. Non si tratta solo della questione elettorale o del sindaco. A questo sforzo vedo chiamati anche i cattolici, che sono una grande risorsa per Roma. Ma, lo dico non da oggi, negli ultimi anni sono stati troppo timidi. Avrebbero avuto la responsabilità di convocare i romani, non per dominare, ma per chiedere loro di reagire. Ha ragione il cardinale Vallini (vicario del Papa per la diocesi di Roma, che il 5 novembre presenterà una lettera alla città ndr), quando parla di «anemia». Ne sono malati i cattolici e la città tutta.
Non ha visto reazioni di fronte agli scandali dell`ultimo anno? C'è stato un silenzio troppo forte. Non si tratta tanto di fare dichiarazioni, quanto di tornare a uno spirito che si pone il problema del bene comune e del destino della città. Le reazioni che ci sono state, poi, sono state troppo individuali. Non ci sono state operazioni di largo respiro.
Milano ha avuto l`Expo, Roma tra poco avrà il Giubileo. Come cogliere l`occasione?
Ci vuole la capacità di farne un momento anche di rinascita civile a partire dal fatto religioso. Credo che il significato del Giubileo per laici e cattolici stia nel fatto che Roma non può vivere per se stessa e a frammenti. Il senso profondo della città sta nel Roma-Amor di cui parlava Giovanni Paolo II. Cioè, nel vivere per gli altri, per una dimensione universale, è la sua vocazione di centro della Chiesa e capitale d`Italia. Invece Roma si nasconde. Ci sono molte tane, ma poche piazze. E non c'è nessuno che abbia la capacità di convocare gli altri. Per questo non vorrei che la Chiesa perdesse questa capacità.
A quali modelli ci si può ispirare?
Non posso dimenticare il grande convegno del febbraio 1974 (quello conosciuto come sui "mali di Roma", voluto dall`allora cardinale vicario, Ugo Poletti ndr). Abbiamo lasciato passare il suo quarantennale con piccole commemorazioni. Mentre quella grande occasione ci richiama una dimensione importante di vita.
Il Giubileo è un`occasione per rianimare una città «malata di individualismo e frammentazione»
Questa «non è stata estirpata dai grandi lavacri come Mani pulite», mentre «può esserlo da uno spirito condiviso, dal senso della comunità». Per questo Riccardi, che è anche stato ministro per la Cooperazione internazionale e l'integrazione, riprende la sua idea di uno «sforzo costituente» per la città, con il quale mettere insieme tutte le energie migliori per «fare sistema». Cosa che al momento, è la sua analisi, non avviene.
Professore, c'entra anche il carattere dei romani, considerati da sempre un po` cinici e menefreghisti? Il carattere storico del romano, che lei tratteggia, è fatto anche di ironia e allegria. Io questa contentezza non la vedo più. Vedo al contrario molta rabbia, costante aggressività e conflittualità, basti pensare al traffico. C`è anche un individualismo diffuso, a partire dal quale si può sviluppare la corruzione. La città è un caos triste. E tutti quelli che hanno avuto una responsabilità a Roma si devono interrogare. Milano invece torna a fiorire. E si rispolverano immagini del periodo postunitario, come la "capitale morale".
Come la vede?
Penso che la contrapposizione tra Roma e Milano appartenga al passato e non abbia senso. L'Italia ha bisogno di entrambe. Sono contento del fatto che a Milano c'è un vento di ripresa. Mentre a Roma questo non c`è.
A cosa si deve?
Il problema è che gli ambienti positivi, di eccellenza, che pure non mancano, si rintanano nei loro circuiti. Le reti sociali sono in crisi, frammentate. Il sistema nervoso della città non è percorso da un sentimento di speranza. Sono molto preoccupato. Roma sta male.
Quale cura serve, allora?
Vanno messi insieme gli aspetti positivi della città in uno sforzo costituente, altrimenti restiamo in una condizione di abbandono. Un uomo solo al comando non ce la fa. Non si tratta solo della questione elettorale o del sindaco. A questo sforzo vedo chiamati anche i cattolici, che sono una grande risorsa per Roma. Ma, lo dico non da oggi, negli ultimi anni sono stati troppo timidi. Avrebbero avuto la responsabilità di convocare i romani, non per dominare, ma per chiedere loro di reagire. Ha ragione il cardinale Vallini (vicario del Papa per la diocesi di Roma, che il 5 novembre presenterà una lettera alla città ndr), quando parla di «anemia». Ne sono malati i cattolici e la città tutta.
Non ha visto reazioni di fronte agli scandali dell`ultimo anno? C'è stato un silenzio troppo forte. Non si tratta tanto di fare dichiarazioni, quanto di tornare a uno spirito che si pone il problema del bene comune e del destino della città. Le reazioni che ci sono state, poi, sono state troppo individuali. Non ci sono state operazioni di largo respiro.
Milano ha avuto l`Expo, Roma tra poco avrà il Giubileo. Come cogliere l`occasione?
Ci vuole la capacità di farne un momento anche di rinascita civile a partire dal fatto religioso. Credo che il significato del Giubileo per laici e cattolici stia nel fatto che Roma non può vivere per se stessa e a frammenti. Il senso profondo della città sta nel Roma-Amor di cui parlava Giovanni Paolo II. Cioè, nel vivere per gli altri, per una dimensione universale, è la sua vocazione di centro della Chiesa e capitale d`Italia. Invece Roma si nasconde. Ci sono molte tane, ma poche piazze. E non c'è nessuno che abbia la capacità di convocare gli altri. Per questo non vorrei che la Chiesa perdesse questa capacità.
A quali modelli ci si può ispirare?
Non posso dimenticare il grande convegno del febbraio 1974 (quello conosciuto come sui "mali di Roma", voluto dall`allora cardinale vicario, Ugo Poletti ndr). Abbiamo lasciato passare il suo quarantennale con piccole commemorazioni. Mentre quella grande occasione ci richiama una dimensione importante di vita.
Il Giubileo è un`occasione per rianimare una città «malata di individualismo e frammentazione»
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