«Secondo la
tradizione giuridica rabbinica, un atto ripetuto 3 volte diventa
chazaqà, consuetudine fissa» - così ha detto il rabbino Di Segni nel
tempio di Roma. Alludeva alla terza visita di un Papa alla sinagoga,
quella di Francesco: «Il segno concreto di una nuova era dopo tutto
quanto è successo nel passato». Ormai la visita è un passaggio
decisivo per i Papi, segno dell'«imprescindibile legame» tra Chiesa e
ebrei (per usare le parole di Francesco). Davvero un'era nuova.
Gli ebrei romani, per secoli, sono stati costretti all`umiliazione durante il corteo del Papa neoeletto verso il Laterano. Oggi invece la Chiesa li cerca come fratelli che conosce da vicino. Il Papa, nella parte più toccante del suo discorso, ha condiviso il dolore degli ebrei di Roma per la deportazione nazista (fatto molto sentito dalla comunità): «Le loro angosce, le loro lacrime non devono mai essere dimenticate».
L'«imprescindibile legame» non è un'astrazione: «Non accogliamo il Papa per discutere di teologia», ha spiegato Di Segni. Ha aggiunto: «Accogliamo il Papa per ribadire che le differenze religiose non devono però essere giustificazione all'odio e alla violenza, ma ci deve essere invece amicizia». Di Segni ha fatto un discorso non formalmente dialoghista ma denso di responsabilità. Quella a cui i leader religiosi sono chiamati innanzi al terrorismo, ma pure ai grandi vuoti della società. Il senso di urgenza del rabbino ha trovato eco nel Papa, che ha dichiarato con forza come la violenza sia «in contraddizione con ogni religione degna di questo nome». La fede faccia crescere ha aggiunto Francesco - la «benevolenza» verso ogni persona.
Una santa alleanza tra religioni? In realtà giunge a maturazione il processo inaugurato da Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986, quando auspicò «energie per un nuovo linguaggio di pace, per nuovi gesti di pace... che spezzeranno le catene fatali delle divisioni ereditate dalla storia». I processi nel mondo religioso non sono facili né lenti, ma spesso irreversibili.
Andrea Riccardi
Gli ebrei romani, per secoli, sono stati costretti all`umiliazione durante il corteo del Papa neoeletto verso il Laterano. Oggi invece la Chiesa li cerca come fratelli che conosce da vicino. Il Papa, nella parte più toccante del suo discorso, ha condiviso il dolore degli ebrei di Roma per la deportazione nazista (fatto molto sentito dalla comunità): «Le loro angosce, le loro lacrime non devono mai essere dimenticate».
L'«imprescindibile legame» non è un'astrazione: «Non accogliamo il Papa per discutere di teologia», ha spiegato Di Segni. Ha aggiunto: «Accogliamo il Papa per ribadire che le differenze religiose non devono però essere giustificazione all'odio e alla violenza, ma ci deve essere invece amicizia». Di Segni ha fatto un discorso non formalmente dialoghista ma denso di responsabilità. Quella a cui i leader religiosi sono chiamati innanzi al terrorismo, ma pure ai grandi vuoti della società. Il senso di urgenza del rabbino ha trovato eco nel Papa, che ha dichiarato con forza come la violenza sia «in contraddizione con ogni religione degna di questo nome». La fede faccia crescere ha aggiunto Francesco - la «benevolenza» verso ogni persona.
Una santa alleanza tra religioni? In realtà giunge a maturazione il processo inaugurato da Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986, quando auspicò «energie per un nuovo linguaggio di pace, per nuovi gesti di pace... che spezzeranno le catene fatali delle divisioni ereditate dalla storia». I processi nel mondo religioso non sono facili né lenti, ma spesso irreversibili.
Andrea Riccardi
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