Lo dimostra il grande islamologo Bernard Lewis, identificando una consistente tradizione giudeo-islamica nei secoli passati
Andrea Riccardi su Religioni e Civiltà (Sette - Corriere della Sera) del 29 aprile 2016
Sembra che tra ebrei e arabi, da sempre, ci sia stata una storia conflittuale. Non è così in modo assoluto. Lo dimostra il grande islamologo Bernard Lewis, identificando una consistente tradizione giudeo-islamica nei secoli passati. Anzi gli ebrei nel mondo arabo e turco furono all'inizio poco permeabili al sionismo. I problemi vennero con la diffusione dell'antisemitismo di marca europea e con gli insediamenti ebraici in Palestina. Negli anni Venti ci furono traduzioni in arabo del testo antisemita I Protocolli del Savi di Sion fatte da alcuni cristiani: poi il testo fu rilanciato più volte da traduttori ed editori musulmani. Cominciò un periodo assai difficile. Ci furono pogrom antiebraici, prima della nascita dello Stato d'Israele, nell'Algeria francese nel 1934 a Costantina e in Iraq nel 1941.
Progressivamente gli ebrei acquistarono un'immagine negativa nel mondo arabo e poi in quello islamico. Il gran muftì di Gerusalemme, Amin al-Huseini (1895-1974), si fece propagandista di un'aggressiva campagna antiebraica, alleato con Hitler e Mussolini. Durante la seconda guerra mondiale, lavorò tra i musulmani dei Balcani, dove guidò il reclutamento di una divisione di più di 20.000 SS musulmani, responsabili di stragi di ebrei e serbi in Bosnia.
Ma la storia non è tutta uguale. Bisogna scrutarla in tutti i suoi aspetti. Nei Balcani, ci sono stati "giusti" musulmani che salvarono gli ebrei. In Bosnia, vivevano 14.000 ebrei e ne morirono ben 12.000 nella Shoah. Alcuni si salvarono però grazie a musulmani non intossicati dalla propaganda di Amin al-Huseini, ma convinti che aiutare gli ebrei fosse un dovere umano e religioso. La famiglia musulmana Hardagan abitava davanti al comando della Gestapo a Sarajevo: avvertiva gli ebrei delle retate che partivano da lì. Non solo, ma accolse un ebreo, Yossef Kabilio: «Voi siete nostri fratelli», gli disse Zejneba Hardagan. Questa lo riscattò quando fu arrestato per strada, corrompendo uno stupefatto ufficiale tedesco. Il padre di Zejneba, Ahmed Sahadik, per l'aiuto agli ebrei, fu portato in campo di concentramento dove morì (il nome è ricordato tra i caduti della Shoah di Sarajevo). Forse vari giusti musulmani morirono nel famigerato campo croato di Jasenovac, seppure se ne ignorano le storie. Zejneba fu la prima tra i musulmani nella lista dei giusti a Yad Vashem nel 1985: negli anni Novanta trovò rifugio in Israele con la famiglia, quando Sarajevo fu colpita dalla guerra.
In Albania, ci fu un'unanime protezione degli ebrei, tanto che durante la guerra ai duecento locali se ne aggiunsero altri duemila. «Sono sempre stato un musulmano devoto... tutti gli ebrei sono nostri fratelli», dichiarò Beqir Qoqja, sarto di Tirana, che aveva nascosto un ebreo, a cui riconsegnò l'oro depositato presso di lui. Un musulmano di Valona, che aveva salvato una famiglia di ebrei quando, finito il comunismo, poté andare a Gerusalemme, affermò mentre lo proclamavano giusto: «Può darsi che voi lo chiamiate spirito umanitario. Per me vale la nostra religione musulmana...».
Non bisogna sottovalutare le motivazioni religiose. Non mancano giusti turchi, anche perché la Turchia ha una storia positiva con l'ebraismo. Il console turco a Rodi, Selahattin Ulkumen, salvò 63 famiglie ebraiche dalla deportazione nazista nel 1944, in forza della cittadinanza turca di alcuni ed estendendola anche ad altri. Così fece anche, con molto coraggio, il console turco a Marsiglia, Necdet Kent, che sottrasse ottanta ebrei turchi agli SS. C'è anche un giusto arabo, il tunisino Khaled Abdelwahhab, che salvò una famiglia di una ventina di ebrei durante l'occupazione tedesca. Forse si scopriranno ancora vicende sommerse nel mondo musulmano, ancora ignote per il clima di ostilità. L'umanità, nel cuore dei conflitti, può prevalere sull'odio e sul fanatismo. Così dichiarano alcuni giusti: l'esercizio dell'umanità è animato dalla religione. Molto, nella storia, è complesso, non ideologico, anche in mezzo a tanti orrori.
Andrea Riccardi su Religioni e Civiltà (Sette - Corriere della Sera) del 29 aprile 2016
Sembra che tra ebrei e arabi, da sempre, ci sia stata una storia conflittuale. Non è così in modo assoluto. Lo dimostra il grande islamologo Bernard Lewis, identificando una consistente tradizione giudeo-islamica nei secoli passati. Anzi gli ebrei nel mondo arabo e turco furono all'inizio poco permeabili al sionismo. I problemi vennero con la diffusione dell'antisemitismo di marca europea e con gli insediamenti ebraici in Palestina. Negli anni Venti ci furono traduzioni in arabo del testo antisemita I Protocolli del Savi di Sion fatte da alcuni cristiani: poi il testo fu rilanciato più volte da traduttori ed editori musulmani. Cominciò un periodo assai difficile. Ci furono pogrom antiebraici, prima della nascita dello Stato d'Israele, nell'Algeria francese nel 1934 a Costantina e in Iraq nel 1941.
Progressivamente gli ebrei acquistarono un'immagine negativa nel mondo arabo e poi in quello islamico. Il gran muftì di Gerusalemme, Amin al-Huseini (1895-1974), si fece propagandista di un'aggressiva campagna antiebraica, alleato con Hitler e Mussolini. Durante la seconda guerra mondiale, lavorò tra i musulmani dei Balcani, dove guidò il reclutamento di una divisione di più di 20.000 SS musulmani, responsabili di stragi di ebrei e serbi in Bosnia.
Ma la storia non è tutta uguale. Bisogna scrutarla in tutti i suoi aspetti. Nei Balcani, ci sono stati "giusti" musulmani che salvarono gli ebrei. In Bosnia, vivevano 14.000 ebrei e ne morirono ben 12.000 nella Shoah. Alcuni si salvarono però grazie a musulmani non intossicati dalla propaganda di Amin al-Huseini, ma convinti che aiutare gli ebrei fosse un dovere umano e religioso. La famiglia musulmana Hardagan abitava davanti al comando della Gestapo a Sarajevo: avvertiva gli ebrei delle retate che partivano da lì. Non solo, ma accolse un ebreo, Yossef Kabilio: «Voi siete nostri fratelli», gli disse Zejneba Hardagan. Questa lo riscattò quando fu arrestato per strada, corrompendo uno stupefatto ufficiale tedesco. Il padre di Zejneba, Ahmed Sahadik, per l'aiuto agli ebrei, fu portato in campo di concentramento dove morì (il nome è ricordato tra i caduti della Shoah di Sarajevo). Forse vari giusti musulmani morirono nel famigerato campo croato di Jasenovac, seppure se ne ignorano le storie. Zejneba fu la prima tra i musulmani nella lista dei giusti a Yad Vashem nel 1985: negli anni Novanta trovò rifugio in Israele con la famiglia, quando Sarajevo fu colpita dalla guerra.
In Albania, ci fu un'unanime protezione degli ebrei, tanto che durante la guerra ai duecento locali se ne aggiunsero altri duemila. «Sono sempre stato un musulmano devoto... tutti gli ebrei sono nostri fratelli», dichiarò Beqir Qoqja, sarto di Tirana, che aveva nascosto un ebreo, a cui riconsegnò l'oro depositato presso di lui. Un musulmano di Valona, che aveva salvato una famiglia di ebrei quando, finito il comunismo, poté andare a Gerusalemme, affermò mentre lo proclamavano giusto: «Può darsi che voi lo chiamiate spirito umanitario. Per me vale la nostra religione musulmana...».
Non bisogna sottovalutare le motivazioni religiose. Non mancano giusti turchi, anche perché la Turchia ha una storia positiva con l'ebraismo. Il console turco a Rodi, Selahattin Ulkumen, salvò 63 famiglie ebraiche dalla deportazione nazista nel 1944, in forza della cittadinanza turca di alcuni ed estendendola anche ad altri. Così fece anche, con molto coraggio, il console turco a Marsiglia, Necdet Kent, che sottrasse ottanta ebrei turchi agli SS. C'è anche un giusto arabo, il tunisino Khaled Abdelwahhab, che salvò una famiglia di una ventina di ebrei durante l'occupazione tedesca. Forse si scopriranno ancora vicende sommerse nel mondo musulmano, ancora ignote per il clima di ostilità. L'umanità, nel cuore dei conflitti, può prevalere sull'odio e sul fanatismo. Così dichiarano alcuni giusti: l'esercizio dell'umanità è animato dalla religione. Molto, nella storia, è complesso, non ideologico, anche in mezzo a tanti orrori.
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