L'Africa sembra lontana. Le passioni degli europei per il
continente si sono molto attenuate e forse spente. Non è stato sempre
così. Un tempo ci fu la forte corrente di solidarietà suscitata dai
missionari. Poi vennero le indipendenze delle colonie e, dagli anni
Sessanta,
si sviluppò il terzomondismo. È stato anche criticato. Si deve
riconoscere però che fu una grande corrente di solidarietà e
partecipazione al destino degli africani, forte nel mondo cattolico e
anche nelle sinistre. C`era la sensazione di un debito di giustizia da
pagare, non solo per le responsabilità coloniali europee, ma perché
l'Africa era povera e l'Europa abitata dal benessere.
Nacque anche la cooperazione allo sviluppo delle Ong e dello Stato italiano (andata calando per la crisi, con una ripresa a partire dal 2013). Che cosa è successo? Perché ci siamo allontanati dall'Africa? In Italia, abbiamo vissuto una lunga introversione per i nostri problemi politici e la crisi economica. E poi l'Africa è sembrata contraddittoria. Non c'erano solo le grandi povertà (che restano), ma la corruzione dei leader politici, lo spreco di risorse nell'acquisto di armi, e guerre, tante guerre... Le passioni solidali si sono raffreddate e il vittimismo europeo ha fatto il resto. Perché sprecare risorse ed energie? L'Africa non appare come un "mendicante buono", ma è una società, come tante, con le sue contraddizioni. Oggi i rifugiati e gli emigrati africani ci ripropongono i problemi del continente. Bisogna aiutare le società africane a creare opportunità per i loro cittadini. Ci sono troppe guerre e vari Stati infragiliti da crisi e violenza. C'è la sfida del terrorismo. L'Italia oggi si vuole coinvolgere: «Ponte tra Africa ed Europa», l'ha definita il presidente Mattarella alla conferenza ministeriale Italia-Africa. L'evento ha creato una sinergia sulla proposta di Matteo Renzi, il Migration Compact, che mira a coinvolgere la UE con i Paesi africani nello sviluppo, contro i trafficanti di esseri umani. Un'iniziativa internazionale importante. Deve però crescere in Italia e tra i giovani una coscienza più larga di legame e solidarietà con l'Africa. I giovani devono conoscerla da vicino. In futuro, Europa e Africa avranno un destino comune: il presidente del Senegal Senghor parlava di "Eurafrica", come un unico continente. Aveva ragione.
Passaggi di un editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana, 29 maggio 2016
Nacque anche la cooperazione allo sviluppo delle Ong e dello Stato italiano (andata calando per la crisi, con una ripresa a partire dal 2013). Che cosa è successo? Perché ci siamo allontanati dall'Africa? In Italia, abbiamo vissuto una lunga introversione per i nostri problemi politici e la crisi economica. E poi l'Africa è sembrata contraddittoria. Non c'erano solo le grandi povertà (che restano), ma la corruzione dei leader politici, lo spreco di risorse nell'acquisto di armi, e guerre, tante guerre... Le passioni solidali si sono raffreddate e il vittimismo europeo ha fatto il resto. Perché sprecare risorse ed energie? L'Africa non appare come un "mendicante buono", ma è una società, come tante, con le sue contraddizioni. Oggi i rifugiati e gli emigrati africani ci ripropongono i problemi del continente. Bisogna aiutare le società africane a creare opportunità per i loro cittadini. Ci sono troppe guerre e vari Stati infragiliti da crisi e violenza. C'è la sfida del terrorismo. L'Italia oggi si vuole coinvolgere: «Ponte tra Africa ed Europa», l'ha definita il presidente Mattarella alla conferenza ministeriale Italia-Africa. L'evento ha creato una sinergia sulla proposta di Matteo Renzi, il Migration Compact, che mira a coinvolgere la UE con i Paesi africani nello sviluppo, contro i trafficanti di esseri umani. Un'iniziativa internazionale importante. Deve però crescere in Italia e tra i giovani una coscienza più larga di legame e solidarietà con l'Africa. I giovani devono conoscerla da vicino. In futuro, Europa e Africa avranno un destino comune: il presidente del Senegal Senghor parlava di "Eurafrica", come un unico continente. Aveva ragione.
Passaggi di un editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana, 29 maggio 2016
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