L'Armenia è un Paese di tre milioni di abitanti, mentre almeno sette milioni di armeni vivono in diaspora: tantissimi in Russia, ma anche 70 mila in Argentina e 100 mila in Siria. Papa Francesco li ha conosciuti a Buenos Aires. Sente il loro dolore per il Metz Yeghern, il Grande Male, la strage perpetrata dall'impero ottomano durante la Prima guerra mondiale.
Lo scorso anno, sotto le volte di San Pietro, il Papa ha fatto risuonare la parola "genocidio", per i cento anni del triste evento, alla presenza del presidente armeno e dei due catholikòs (Patriarchi), uno residente in Armenia e l'altro in Libano. La parola "genocidio" è considerata un affronto dalla Turchia, che ha ritirato l'ambasciatore in Vaticano. Ora l'episodio sembra chiuso. Il viaggio di Francesco riaprirà la questione?
Già il vicepremier turco ha dichiarato che il Papa ha una mentalità da crociata. Un attacco infondato. In Armenia, il Papa ha citato le parole di Giovanni Paolo II sul genocidio e quanto lui stesso aveva già detto a Roma. Per lui la parola più confacente per il dramma del 1915 non è genocidio ma "martirio". Molti armeni sono morti perché cristiani, perché hanno rifiutato la conversione all'islam. Francesco ha onorato la memoria dei martiri vicino al biblico Monte Ararat, «dove i Khatchkar - le croci di pietra - raccontano una storia unica, intrisa di fede rocciosa e di sofferenza immane».
Il Papa, però, ha detto agli armeni che la memoria del dolore non può diventare vendetta, ma deve farsi toccare dall'amore, cercando di creare un futuro di pace. Pensa alla riapertura della frontiera e del dialogo tra Armenia e Turchia, alla fine del conflitto tra armeni e azeri per il Nagorno Karabakh. Un'utopia? Forse, ma sono i sogni che scaturiscono dalla fede cristiana.
Il patriarca ortodosso Athenagoras diceva: «Chiese sorelle, popoli fratelli». L'ecumenismo tra Chiese non è un'alleanza contro i non cristiani, ma «un forte richiamo a comporre le divergenze con il dialogo».
Domenica, quando Francesco ha finito il viaggio in Armenia, si è concluso il Concilio panortodosso a Creta (un evento d'unità, nonostante vi abbiano partecipato 10 Chiese su 14). In un mondo globale, percorso da conflitti e divisioni, le Chiese cristiane s'incontrano e sentono decisivi l'incontro e la costruzione della pace tra i popoli. Il Papa e il catholikòs armeno hanno dichiarato: «Nonostante le persistenti divisioni tra cristiani, abbiamo compreso più chiaramente che ciò che ci unisce è molto più di quello che ci divide». E il mondo ha bisogno di ponti di unità tra tanti muri che dividono.
Editoriale di Andrea Riccardi su "Famiglia Cristiana" del 3 luglio 2016.
Lo scorso anno, sotto le volte di San Pietro, il Papa ha fatto risuonare la parola "genocidio", per i cento anni del triste evento, alla presenza del presidente armeno e dei due catholikòs (Patriarchi), uno residente in Armenia e l'altro in Libano. La parola "genocidio" è considerata un affronto dalla Turchia, che ha ritirato l'ambasciatore in Vaticano. Ora l'episodio sembra chiuso. Il viaggio di Francesco riaprirà la questione?
Già il vicepremier turco ha dichiarato che il Papa ha una mentalità da crociata. Un attacco infondato. In Armenia, il Papa ha citato le parole di Giovanni Paolo II sul genocidio e quanto lui stesso aveva già detto a Roma. Per lui la parola più confacente per il dramma del 1915 non è genocidio ma "martirio". Molti armeni sono morti perché cristiani, perché hanno rifiutato la conversione all'islam. Francesco ha onorato la memoria dei martiri vicino al biblico Monte Ararat, «dove i Khatchkar - le croci di pietra - raccontano una storia unica, intrisa di fede rocciosa e di sofferenza immane».
Il Papa, però, ha detto agli armeni che la memoria del dolore non può diventare vendetta, ma deve farsi toccare dall'amore, cercando di creare un futuro di pace. Pensa alla riapertura della frontiera e del dialogo tra Armenia e Turchia, alla fine del conflitto tra armeni e azeri per il Nagorno Karabakh. Un'utopia? Forse, ma sono i sogni che scaturiscono dalla fede cristiana.
Il patriarca ortodosso Athenagoras diceva: «Chiese sorelle, popoli fratelli». L'ecumenismo tra Chiese non è un'alleanza contro i non cristiani, ma «un forte richiamo a comporre le divergenze con il dialogo».
Domenica, quando Francesco ha finito il viaggio in Armenia, si è concluso il Concilio panortodosso a Creta (un evento d'unità, nonostante vi abbiano partecipato 10 Chiese su 14). In un mondo globale, percorso da conflitti e divisioni, le Chiese cristiane s'incontrano e sentono decisivi l'incontro e la costruzione della pace tra i popoli. Il Papa e il catholikòs armeno hanno dichiarato: «Nonostante le persistenti divisioni tra cristiani, abbiamo compreso più chiaramente che ciò che ci unisce è molto più di quello che ci divide». E il mondo ha bisogno di ponti di unità tra tanti muri che dividono.
Editoriale di Andrea Riccardi su "Famiglia Cristiana" del 3 luglio 2016.
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