Andrea Riccardi, nella rubrica "Religioni e civiltà" sul Magazine Sette del Corriere della Sera, ha pubblicato questo commento, in data 10 giugno 2016.
Più di due terzi dei Paesi hanno abolito le esecuzioni capitali e il mondo non si è rivelato più insicuro. Ma in troppi la conservano. Compresi Stati buddisti.
Alla fine del 2015, più di due terzi dei Paesi del mondo hanno abolito la pena di morte: 102 l'hanno cancellata dagli ordinamenti giuridici; in sei, resta solo per reati eccezionali in tempo di guerra. In 32 Paesi non si eseguono più i condannati, ma la pena capitale è prevista dalla legislazione. Si tratta quindi di Stati abolizionisti de facto in cui, da dieci anni, non si registrano esecuzioni o che si sono impegnati ufficialmente a non farle. In tutto sono 140 i Paesi che hanno eliminato - legalmente o di fatto - la condanna a morte. È un numero importante, impensato fino a non molto tempo fa, quando era diffusa la convinzione che tale pena fosse una necessità sociale e che, soprattutto, la volessero le popolazioni come garanzia. Il mondo senza pena di morte invece non si è rivelato insicuro, come molti prevedevano.
Il numero dei Paesi che continuano a condannare a morte è però importante: 58 Stati (26 dei quali hanno compiuto esecuzioni di prigionieri nel 2015). Alcuni sono Paesi di rilievo per il loro peso politico e demografico: gli Stati Uniti (solo 16 Stati dell'Unione non ammettono la pena capitale), la Cina (per vari reati, tra cui la corruzione), il Giappone, l'India e altri. Fra gli Stati che applicano un'interpretazione letterale della Sharia, l'Iran e l'Arabia Saudita che commina ed esegue la pena capitale per vari reati, tra cui l'apostasia, l'omicidio, la rapina, la stregoneria, la pratica dell'omosessualità, il traffico di droga, il sabotaggio. Altri Paesi musulmani, come Algeria e Marocco, hanno adottato invece la moratoria. Tutte le religioni si sono misurate con la pena di morte, praticata tradizionalmente dalle civiltà antiche. Molte hanno cercato di limitarne l'uso.
La Bibbia ebraica e il Talmud contemplano la pena capitale per 36 delitti, ma prevedono forti limiti. Nello Stato d'Israele, questa pena è stata abolita e resta solo per il tradimento in guerra e il genocidio. L'unico civile condannato a morte in Israele è stato, nel 1962, Adolf Eichmann, il principale organizzatore dello sterminio degli ebrei durante la Guerra mondiale. Nella storia, la Chiesa cattolica ha ammesso, a certe condizioni, la pena capitale, tanto che Pio IX, da sovrano dello Stato Pontificio, ha approvato alcune condanne. Nell'ultimo mezzo secolo si è sviluppato un forte movimento cristiano contrario alla condanna a morte, nonostante il Catechismo della Chiesa universale ne preveda la possibilità, pur considerandola in genere non ammissibile. Per Giovanni Paolo II, l'abolizione della pena capitale faceva parte della difesa della vita dal concepimento alla morte naturale. Spesso i Papi, in tempi recenti, hanno chiesto la grazia per i condannati. Francesco ha espresso la sua totale contrarietà alla pena capitale, domandando per il Giubileo una moratoria delle esecuzioni: «Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà», ha detto, «sono chiamati oggi ad operare non solo per l'abolizione della pena di morte, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie...».
Nel panorama delle religioni, la Chiesa cattolica ormai considera illecita e disumana questa pena. Nei vari mondi religiosi, l'abolizionismo però non fa l'unanimità. Nonostante il Mahatma Gandhi fosse avverso alla condanna a morte in nome della non violenza (come suggerisce la compassione ispirata dai testi Veda), l'India l'ha contemplata nella Costituzione. I buddisti - ad esempio in Italia -, partendo dalla compassione, sono contrari. Eppure importanti Stati buddisti, dove la religione ha un ruolo rilevante, come la Thailandia e Myanmar, ammettono la pena capitale. Nel 2014, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato, con una maggioranza accresciuta, la quinta risoluzione a favore della moratoria universale della pena di morte, chiedendo la sospensione delle esecuzioni. È un'importante conquista che richiama anche i mondi religiosi a riconsiderare le millenarie tradizioni di violenza, veicolate dalla storia come una necessità.
Più di due terzi dei Paesi hanno abolito le esecuzioni capitali e il mondo non si è rivelato più insicuro. Ma in troppi la conservano. Compresi Stati buddisti.
Alla fine del 2015, più di due terzi dei Paesi del mondo hanno abolito la pena di morte: 102 l'hanno cancellata dagli ordinamenti giuridici; in sei, resta solo per reati eccezionali in tempo di guerra. In 32 Paesi non si eseguono più i condannati, ma la pena capitale è prevista dalla legislazione. Si tratta quindi di Stati abolizionisti de facto in cui, da dieci anni, non si registrano esecuzioni o che si sono impegnati ufficialmente a non farle. In tutto sono 140 i Paesi che hanno eliminato - legalmente o di fatto - la condanna a morte. È un numero importante, impensato fino a non molto tempo fa, quando era diffusa la convinzione che tale pena fosse una necessità sociale e che, soprattutto, la volessero le popolazioni come garanzia. Il mondo senza pena di morte invece non si è rivelato insicuro, come molti prevedevano.
Il numero dei Paesi che continuano a condannare a morte è però importante: 58 Stati (26 dei quali hanno compiuto esecuzioni di prigionieri nel 2015). Alcuni sono Paesi di rilievo per il loro peso politico e demografico: gli Stati Uniti (solo 16 Stati dell'Unione non ammettono la pena capitale), la Cina (per vari reati, tra cui la corruzione), il Giappone, l'India e altri. Fra gli Stati che applicano un'interpretazione letterale della Sharia, l'Iran e l'Arabia Saudita che commina ed esegue la pena capitale per vari reati, tra cui l'apostasia, l'omicidio, la rapina, la stregoneria, la pratica dell'omosessualità, il traffico di droga, il sabotaggio. Altri Paesi musulmani, come Algeria e Marocco, hanno adottato invece la moratoria. Tutte le religioni si sono misurate con la pena di morte, praticata tradizionalmente dalle civiltà antiche. Molte hanno cercato di limitarne l'uso.
La Bibbia ebraica e il Talmud contemplano la pena capitale per 36 delitti, ma prevedono forti limiti. Nello Stato d'Israele, questa pena è stata abolita e resta solo per il tradimento in guerra e il genocidio. L'unico civile condannato a morte in Israele è stato, nel 1962, Adolf Eichmann, il principale organizzatore dello sterminio degli ebrei durante la Guerra mondiale. Nella storia, la Chiesa cattolica ha ammesso, a certe condizioni, la pena capitale, tanto che Pio IX, da sovrano dello Stato Pontificio, ha approvato alcune condanne. Nell'ultimo mezzo secolo si è sviluppato un forte movimento cristiano contrario alla condanna a morte, nonostante il Catechismo della Chiesa universale ne preveda la possibilità, pur considerandola in genere non ammissibile. Per Giovanni Paolo II, l'abolizione della pena capitale faceva parte della difesa della vita dal concepimento alla morte naturale. Spesso i Papi, in tempi recenti, hanno chiesto la grazia per i condannati. Francesco ha espresso la sua totale contrarietà alla pena capitale, domandando per il Giubileo una moratoria delle esecuzioni: «Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà», ha detto, «sono chiamati oggi ad operare non solo per l'abolizione della pena di morte, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie...».
Nel panorama delle religioni, la Chiesa cattolica ormai considera illecita e disumana questa pena. Nei vari mondi religiosi, l'abolizionismo però non fa l'unanimità. Nonostante il Mahatma Gandhi fosse avverso alla condanna a morte in nome della non violenza (come suggerisce la compassione ispirata dai testi Veda), l'India l'ha contemplata nella Costituzione. I buddisti - ad esempio in Italia -, partendo dalla compassione, sono contrari. Eppure importanti Stati buddisti, dove la religione ha un ruolo rilevante, come la Thailandia e Myanmar, ammettono la pena capitale. Nel 2014, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato, con una maggioranza accresciuta, la quinta risoluzione a favore della moratoria universale della pena di morte, chiedendo la sospensione delle esecuzioni. È un'importante conquista che richiama anche i mondi religiosi a riconsiderare le millenarie tradizioni di violenza, veicolate dalla storia come una necessità.
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