Andrea Riccardi, sul magazine "Sette", affronta la questione dei cristiani d'Oriente, perseguitati dal radicalismo islamico ma anche divisi al proprio interno, che rischiano di scomparire
Ex Oriente lux: la luce viene dall'Oriente - dice un'antica sentenza cristiana. Giovanni Paolo II la riprese nel titolo di un'enciclica, Orientale lumen, in cui ricordava come la fede cristiana venisse dall'Oriente, anzi dovremmo dire dal Medio Oriente.
Volgersi a Oriente significa recuperare le radici di una storia antica. Ma quale luce viene dall'Oriente? In questi anni, ci sono tante ombre e molto buio sulla vita dell'Oriente cristiano, tanto che a molti sembra giunto alla fine. Già nel 1994, un diplomatico francese, sotto pseudonimo, Jean-Pierre Valognes, scriveva un ponderoso volume dal titolo premonitore, Vie et mort des chrétiens d'Orient. Concludeva con una nota pessimistica: «Che la terra d'Oriente un tempo la più ricca di cristiani sia ugualmente la prima da cui saranno scomparsi è tristemente esemplare». I cristiani mediorientali hanno resistito per secoli, pur tra tanti problemi. Ma, nel XXI secolo, la situazione si è deteriorata. Le guerre in Iraq (qui i cristiani erano più di un milione e oggi sono circa 300.000) e in Siria li hanno costretti all'esodo. Il fondamentalismo islamico li respinge con la sua politica totalitaria. Aleppo, una città siriana con una forte e caratterizzante presenza cristiana, si è ormai svuotata di questa realtà. La storia sembra andare verso l'islamizzazione e la diffusione della violenza. Per i cristiani orientali, la presidenza di Assad in Siria, di Saddam Hussein in Iraq, di Mubarak in Egitto, erano garanzie. Ancora oggi la decina di milioni di copti egiziani, la più grande comunità cristiana nel mondo arabo, sostiene il presidente al-Sisi, al potere dopo la fine del governo dei Fratelli Musulmani in Egitto.
I cristiani, come i musulmani, pagano un prezzo alto per le guerre. Sono minacciati in modo particolare dal radicalismo islamico e dal sedicente Califfato, anche se non credo si debba parlare di un genocidio. Ci sono, però, situazioni di vero martirio. In Libano, terra di libertà peri cristiani, c'è una grande crisi: non si elegge da due anni il presidente (che dev'essere cristiano maronita), anche per le divisioni tra cristiani e nella comunità maronita (cattolica). Le élite politiche cristiane libanesi non hanno una posizione unitaria, anzi sono divise tra antisiriani e filosiriani, legate al clientelismo confessionale. I patriarchi, eredi di un'autorità che, nell'impero ottomano, li faceva capi di una nazione-Chiesa con un'influenza civile, oggi contano assai meno. Il mondo cristiano è diviso. Non solo in Libano. I cristiani iracheni non riescono a condividere un progetto unitario sul ruolo della loro comunità in Iraq, dove l'unica voce ascoltata è il patriarca caldeo Sako. Lui stesso ha difficoltà nella Chiesa caldea. Nella Chiesa greco-cattolica, la metà dei vescovi s'è rifiutata di andare al sinodo, chiedendo le dimissioni del più che ottantenne patriarca Gregorio Laham. La Chiesa greco-ortodossa (con fedeli in Libano e Siria), per una polemica con il patriarcato di Gerusalemme, non ha partecipato al Concilio panortodosso di Creta.
Del resto, in questa regione, prima sotto il dominio arabo e poi ottomano, i cristiani sono sempre vissuti separatamente in comunità distinte e con strategie diverse: così non rappresentavano una minaccia per il potere centrale musulmano. Oggi tutto è cambiato nel caos drammatico della regione. Ma la vita dei cristiani non ha registrato a fondo un cambiamento. Forse - come diceva tanti anni fa un conoscitore dell'Oriente, Pietro Rossano - il Concilio Vaticano II non è quasi arrivato tra i cattolici della regione. Insomma è un momento doloroso e difficile per tutti i cristiani. Nonostante gli interventi del Vaticano e di varie istituzioni cristiane, ci si chiede se si può assistere così alla fine di un mondo bimillenario. Certo è che, senza cristiani, le società islamiche saranno più in preda alle pulsioni totalitarie. Per ora c'è buio in Oriente.
Articolo di Andrea Riccardi sul magazine "Sette" del Corriere della Sera del 15 luglio 2016
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