Nella seconda metà del Novecento, in seguito alla decolonizzazione, furono gli Europei a tornare nei loro Paesi d'origine. Non sempre ben accolti
C'è stato un tempo non lontano, in cui i rifugiati dall'Africa non erano africani, ma "bianchi". Si diceva: "ritornano" in Europa, ma parecchi erano nati o discendenti di nati in Africa. Come parlare di ritorno? La loro storia nasceva con la colonizzazione. La partenza avvenne con la decolonizzazione. Spesso sono state tragedie per l'abbandono di una vita consolidata e l'inserimento in un paese che più che la madrepatria appariva come una matrigna.È stato il caso dei "rimpatriati" dalle colonie del Portogallo: Angola, Mozambico, Guinea Bissau, Sào Tomé e Principe, Capo Verde. Il regime di Salazar, assieme a quello di Franco in Spagna, era sopravvissuto al nazifascismo. Aveva difeso strenuamente l'impero d'oltremare ben oltre la stagione della decolonizzazione. Qualificava le colonie come province d'oltremare, ma gli africani erano discriminati e poveri. Nelle colonie, viveva almeno mezzo milione di portoghesi, che aveva lasciato il Portogallo per lavorare e talvolta condurre una vita agiata. I movimenti di liberazione lottavano contro il colonialismo portoghese che, con la rivoluzione dei garofani, non poteva durare. Fu subito l'ora dell'indipedenza e mezzo milione di portoghesi - tra il 1974 e i1 1975 - dovettero
abbandonare case e lavoro. Parecchi non conoscevano la madrepatria. Intanto il Portogallo viveva una delicata transizione verso la democrazia. L'impatto fu doloroso per i rimpatriati, inseritisi a fatica in un paese povero. Restavano nelle ex colonie (divenute poi regimi marxisti) alcuni portoghesi dalla parte dei liberatori.
Negli anni 80, ho incontrato in Mozambico anche portoghesi poveri, che vivevano di stenti. Per le ex colonie, la partenza dei portoghesi -favorita dai nuovi governi- fu un'emorragia di personale qualificato. Me ne parlava come di un errore, all'inizio degli anni 90, Robert Mugabe, presidente dello Zimbabwe. Eppure, anche lui, che ottenne l'indipendenza del suo paese nel 1980 contro il governo della minoranza inglese (che gestiva le terre migliori), avrebbe condotto una politica per cui i 296.000 "bianchi" su più di cinque milioni del 1980 sarebbero calati a meno di 30.000, emigrando in Sud Africa.
Molto vasto fu l'esodo dei francesi dall'Algeria, nel 1962, con la fine della guerra di liberazione, iniziata nel 1954. Un milione di persone, il 10% della popolazione residente. L'esodo si svolse in condizioni caotiche in pochi mesi, nel 1962, in un clima di tensione dovuto alla lunga guerra. L'Oas, l'organizzazione militare clandestina per l'Algeria francese, fomentava rivolte e resistenze. I nazionalisti algerini (musulmani) premevano per la partenza dei francesi: alcuni con lo slogan, "La valise ou le cercueil", la valigia o la bara.
I rimpatriati non furono tanto ben accolti in Francia, dove non si prevedeva un simile esodo. Sembravano gente particolare, sospettata di essere di destra, un po` estranea. Se ne andarono anche gli ebrei algerini, da tanto nel paese, che godevano tutti della cittadinanza francese: su 130.000, la gran parte andò in Francia, 5000 in Israele e qualcuno rimase in Algeria. Nel 1990, in Algeria, restavano 2000 francesi: molti anziani che non volevano vivere altrove. I "rimpatriati" si sentivano algerini, discendenti da famiglie da molto nel paese (che consideravano parte della Francia): li chiamarono pieds noirs ed erano anche gente povera. Uno di loro, lo scrittore Albert Camus, morto nel 1960, ha descritto efficacemente questo mondo. Lo storico francese Benjamin Stora ha raccontato la partenza della sua famiglia per la Francia: «... mia madre aveva pulito l'appartamento da cima a fondo, come quando partivamo per qualche giorno di vacanza. I miei genitori hanno a lungo conservato le chiavi del loro appartamento, come fosse impossibile accettare la partenza...».
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