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San Marino e la sua tradizione umanitaria

I micro-Stati possono avere un molo forte nei momenti in cui le libertà sono a rischio e le emergenze in primo piano 

La globalizzazione ridiscute i confini e le identità degli Stati. Dovrebbe sospingere quelli europei a condurre una politica più unitaria per rispondere insieme alle sfide globali, specie quelle dei giganti dell'Oriente, anche se il voto per Brexit è in controtendenza con questo. Viene, però, da chiedersi come possano sopravvivere, sotto il rullo della globalizzazione, i piccolissimi Stati. I micro-Stati sono una ventina e, a parte quelli europei, si tratta in genere di isole nei Caraibi o in Oceania, ex colonie europee. Il loro voto è prezioso all'Onu. L'Italia ne conosce l'utilità per entrare nel Consiglio di sicurezza. In Europa, i micro-Stati sono sopravvivenze storiche, come i principati di Lichtenstein, Monaco e Andorra, oltre il Vaticano.

Tuttavia nella penisola italiana c'è un caso originale: la Repubblica di San Marino con più di 32.000 abitanti (e 17.000 residenti all'estero soprattutto in Italia e negli Stati Uniti), arroccata sul monte Titano. La sua popolazione è italiana. Si tratta della più antica istituzione repubblicana del mondo per continuità storica. Giovanni Spadolini, storico e politico italiano, esaltava così San Marino nel 1989: quando «nel territorio italiano non rimase una repubblica, l'idea repubblicana si chiuse per alcuni decenni in questa terra...».

I confini di San Marino sono rimasti gli stessi dal 1463: fatto rarissimo nella geopolitica mondiale. Quando Napoleone, che simpatizzava per l'antica Repubblica, le offrì l'allargamento del territorio fino al mare, i sammarinesi rifiutarono, temendo un «ambizioso ingrandimento che potrebbe col tempo compromettere la sua libertà» - così dichiararono. Difendere la libertà della comunità è stato il filo rosso della storia di San Marino. Mai il potere nelle mani di uno solo: il ruolo di capo dello Stato, almeno dal 1243, è affidato a due capitani reggenti (in carica per sei brevi mesi). Pur essendo legata al cattolicesimo a partire dal tradizionale santo fondatore, Marino (che si sarebbe rifugiato sulla montagna nel IV secolo), la Repubblica non ha avuto mai né voluto un vescovo residente sul territorio, temendone il potere.

La preservazione della libertà dall'accentramento del potere all'interno si è accompagnata alla difesa dell'indipendenza dai potenti vicini. Spesso il circostante Stato Pontificio - fino al 1861 - tentò di annettersi il territorio o di interferire.
Nell'Ottocento, San Marino (favorevole all'Unità) ospitò Garibaldi e i suoi, nonostante le pressioni austriache. Con l'Unità, si ritrovò un'isola indipendente nel cuore dell'Italia, vivendo una serie di connessioni, non sempre facili, con la politica italiana. C'è però una tradizione di tutela umanitaria della Repubblica che va da Garibaldi alla Seconda guerra mondiale, quando 100.000 profughi italiani si rovesciarono nel suo territorio. San Marino non fu rispettato dai nazifascisti né dagli Alleati, che lo bombardarono facendo 63 morti e poi vi entrarono con le truppe.

Oggi la storia è diversa. L'indipendenza va garantita non da forti vicini, ma dai "padroni economici" esterni. La proprietà immobiliare degli stranieri è regolata in maniera cauta dalla legge. La Repubblica, con le immunità di uno Stato sovrano, era tentata di giocare il ruolo di "paradiso fiscale". L'eccessivo sviluppo del settore bancario e delle finanziarie andava in questo senso. Non era degno della storia sammarinese, né accettabile per l'Europa e l'Italia. La politica sammarinese degli ultimi anni ha chiuso il "paradiso fiscale" e chiarito i rapporti con Roma. Del resto, oggi, nel mondo globale, un soggetto internazionale di qualunque dimensione ha un peso, se si dà una politica. San Marino, accreditato nelle sedi multilaterali, ha deciso di accogliere un gruppo di rifugiati siriani tramite un corridoio umanitario dal Libano, nonostante la presenza degli stranieri possa far temere per l'identità. È la ripresa di un'antica tradizione umanitaria.

Questo articolo di Andrea Riccardi è apparso sul magazine "Sette" del Corriere della Sera il 1 giugno 2016

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