Nell'analisi del recente voto referendario in Italia di Andrea Riccardi, affidata alle pagine di Famiglia Cristiana, con il titolo "Passato il referendum, rinasca la politica, si leggono le motivazioni profonde di una protesta che si è espressa soprattutto nelle periferie e tra i giovani. "Senza una rinnovata politica si scivolerà nel populismo - scrive il fondatore di Sant'Egidio - E per rinnovarsi bisogna ascoltare"
Nelle periferie ha vinto il no, anche se non è stato solo un voto periferico. A Roma, nei due municipi con il reddito più alto ha vinto il sì. Nel resto della capitale il no: nel VI Municipio, periferico e a reddito basso, il no ha superato il 70%. A Milano in città ha vinto il sì con il 51,13%, che invece in provincia ha raggiunto solo il 47,38%. Il Mezzogiorno ha votato compattamente no, con punte oltre il 70% in Sardegna e Sicilia. C`è stata anche una frattura generazionale: il no ha avuto successo tra i giovani e il sì tra gli italiani sopra i 55 anni. La gente ha voluto far sentire la propria voce con una forte affluenza al voto, il 68,48%.
L'Italia si è divisa tra il no e il sì.
È un fatto positivo per la salute della democrazia. Non è stato però solo il dibattito serrato a spingere al voto, ma anche la volontà di dire no. C'è nel voto qualcosa che va oltre la risposta al quesito sulla riforma costituzionale e al referendum su Renzi. Il no si è fatto carico del rifiuto e della protesta: è stata la manifestazione dei sentimenti delle periferie geografiche e urbane. Anche se non è l'unico significato politico attribuibile a questo voto. Si pensi ai giovani: al problema del lavoro e del loro futuro. Eppure i giovani in Gran Bretagna avevano votato contro la Brexit. Questa differenza segnala un grave problema di esclusione dei giovani italiani. Intere regioni si sentono ai margini. C`è un'Italia che si sente esclusa. C'è un Paese profondo che non si sente capito e rappresentato dal Governo e dalle istituzioni: le periferie urbane, i giovani o i meno giovani preoccupati del domani, cittadini spaesati in un'Italia europea e globale. Ma si crede che serva ancora votare. Bisogna capirli e creare una comunicazione nuova tra la gente e la politica. Dove sono gli attori di questo processo?
Si apre un grande compito del Governo, dei parlamentari e di quello che resta dei partiti. In Europa i populismi cavalcano le emozioni nel senso del nazionalismo, in chiave antieuropea: forniscono risposte semplici in un mondo complicato. Hanno però dimenticato la grande lezione del Novecento, che il presidente francese Mitterrand, nel suo ultimo discorso al Parlamento europeo, aveva così sintetizzato: «Il nazionalismo è la guerra». È un'illusione credere che con i nazionalismi la politica torni vicina alla gente. I nazionalismi portano invece pericolosamente lontano. La grande sfida oggi è far rinascere la politica: saprà ascoltare le domande e rispondere efficacemente? Senza una rinnovata politica si scivolerà nel populismo. E il rinnovamento comincia dall'umiltà dell'ascolto.
Nelle periferie ha vinto il no, anche se non è stato solo un voto periferico. A Roma, nei due municipi con il reddito più alto ha vinto il sì. Nel resto della capitale il no: nel VI Municipio, periferico e a reddito basso, il no ha superato il 70%. A Milano in città ha vinto il sì con il 51,13%, che invece in provincia ha raggiunto solo il 47,38%. Il Mezzogiorno ha votato compattamente no, con punte oltre il 70% in Sardegna e Sicilia. C`è stata anche una frattura generazionale: il no ha avuto successo tra i giovani e il sì tra gli italiani sopra i 55 anni. La gente ha voluto far sentire la propria voce con una forte affluenza al voto, il 68,48%.
L'Italia si è divisa tra il no e il sì.
È un fatto positivo per la salute della democrazia. Non è stato però solo il dibattito serrato a spingere al voto, ma anche la volontà di dire no. C'è nel voto qualcosa che va oltre la risposta al quesito sulla riforma costituzionale e al referendum su Renzi. Il no si è fatto carico del rifiuto e della protesta: è stata la manifestazione dei sentimenti delle periferie geografiche e urbane. Anche se non è l'unico significato politico attribuibile a questo voto. Si pensi ai giovani: al problema del lavoro e del loro futuro. Eppure i giovani in Gran Bretagna avevano votato contro la Brexit. Questa differenza segnala un grave problema di esclusione dei giovani italiani. Intere regioni si sentono ai margini. C`è un'Italia che si sente esclusa. C'è un Paese profondo che non si sente capito e rappresentato dal Governo e dalle istituzioni: le periferie urbane, i giovani o i meno giovani preoccupati del domani, cittadini spaesati in un'Italia europea e globale. Ma si crede che serva ancora votare. Bisogna capirli e creare una comunicazione nuova tra la gente e la politica. Dove sono gli attori di questo processo?
Si apre un grande compito del Governo, dei parlamentari e di quello che resta dei partiti. In Europa i populismi cavalcano le emozioni nel senso del nazionalismo, in chiave antieuropea: forniscono risposte semplici in un mondo complicato. Hanno però dimenticato la grande lezione del Novecento, che il presidente francese Mitterrand, nel suo ultimo discorso al Parlamento europeo, aveva così sintetizzato: «Il nazionalismo è la guerra». È un'illusione credere che con i nazionalismi la politica torni vicina alla gente. I nazionalismi portano invece pericolosamente lontano. La grande sfida oggi è far rinascere la politica: saprà ascoltare le domande e rispondere efficacemente? Senza una rinnovata politica si scivolerà nel populismo. E il rinnovamento comincia dall'umiltà dell'ascolto.
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