Andrea Riccardi, nella rubrica "Religioni e civiltà" del magazine Sette del Corriere della Sera.
Il Natale ritorna con il suo messaggio di speranza e come festa dai tanti volti: quello cristiano, quello della gioia familiare e dei bambini, quello dei consumi e tant'altro. Ritorna in un'Italia incerta sul futuro e in una società con troppi poveri e disoccupati: senza la speranza di una vita migliore. L'ISTAT parla di quasi un milione e mezzo di famiglie indigenti. In un Natale, che è anche festa dei consumi, la condizione dei poveri è inevitabilmente triste. Oltre i problemi italiani, c'è un immenso bisogno di speranza nel mondo. Come non essere pessimisti sugli Stati e sull'opinione pubblica, dopo quella vera sconfitta dell'umanità che è stata la battaglia di Aleppo? In quattro anni e mezzo, la comunità internazionale non è riuscita a salvare questa città-martire, la Sarajevo - e ben di più! - del XXI secolo.
Come risuona il messaggio di Natale, in questo mondo segnato dall'assenza di speranza? Per capirlo bisogna tornare sulle pagine del Vangelo. Le narrazioni di Matteo e Luca hanno ispirato la fantasia degli artisti e dei credenti nell`immaginare il Natale. Le rappresentazioni dell'evento, specie il tanto popolare presepe di Francesco d'Assisi a Greccio (oggi diffuso in tante versioni), insistono tutte su un Gesù vicino, che torna a nascere nel nostro tempo e nelle nostre terre. La liturgia della notte di Natale e del 25 dicembre trasmette questo messaggio: un Dio vicino, fragile come un bambino, che può essere raggiunto ovunque. La fragilità del neonato è accompagnata dalla marginalità del luogo di nascita e dalle minacce alla sua vita. A causa della volontà
omicida del re Erode, la famiglia di Gesù dovette subito fuggire in Egitto. Così narra il Vangelo. L'evangelista Luca precisa che Maria «diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo» (2, 7). Questa breve frase ha accesso la fantasia di quanti hanno rappresentato Gesù bambino in ambienti miseri o in una grotta. Il santo settecentesco Alfonso Maria de' Liguori, con la sua pietà calda, compose in napoletano il canto natalizio Quando nascette Ninno, tanto noto in italiano, che si apre con la strofa «Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo, e vieni in una grotta al freddo e al gelo». È l'espressione vivace dello "stupore" (parola evangelica) verso il "re del cielo" che si ritrova in una condizione di estrema fragilità. Nella semplicità del Natale, si manifesta quella che l'apostolo Paolo chiama la kenosi, l'abbassamento di Dio: «Pur essendo di natura divina, / non considerò un tesoro geloso / la sua uguaglianza con Dio; / ma spogliò se stesso, / assumendo la condizione di servo / e divenendo simile agli uomini... (PII 2, 6-7)».
Naturalmente questi temi e queste immagini hanno un significato particolare per il cristiano, anche per quella religione popolare, spesso troppo disprezzata da quanti si pongono come ingegneri di un cristianesimo coerente. Ma hanno pure un significato per la cultura e l'umanesimo del nostro Paese, anche se non connesse ad una fede personale. Torna alla mente la definizione del cristianesimo da parte del filosofo Benedetto Croce, laico e liberale: «La più grande rivoluzione», scriveva nel 1942, «che l'umanità abbia mai compiuto: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non meraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall'alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane...». In piena guerra mondiale, Croce rivendicava l'essenza "cristiana" della civiltà europea in un saggio dal titolo espressivo, Perché non possiamo non dirci cristiani.
Dopo la distruzione di Aleppo e la terribile guerra in Siria, di fronte alle minacce del terrorismo omicida, viene da interrogarsi dove sia l'umanità del nostro tempo, impotente o distratto verso terribili vicende, che potevano essere evitate o limitate. Riflettere sul Natale, celebrarlo, ricordare il cristianesimo come la più grande rivoluzione dell'umanità, può aiutarci a non dimenticare tanto dolore. Ma pone anche la domanda su come possiamo ancora dirci ed essere umani e - se vogliamo - cristiani.
Il Natale ritorna con il suo messaggio di speranza e come festa dai tanti volti: quello cristiano, quello della gioia familiare e dei bambini, quello dei consumi e tant'altro. Ritorna in un'Italia incerta sul futuro e in una società con troppi poveri e disoccupati: senza la speranza di una vita migliore. L'ISTAT parla di quasi un milione e mezzo di famiglie indigenti. In un Natale, che è anche festa dei consumi, la condizione dei poveri è inevitabilmente triste. Oltre i problemi italiani, c'è un immenso bisogno di speranza nel mondo. Come non essere pessimisti sugli Stati e sull'opinione pubblica, dopo quella vera sconfitta dell'umanità che è stata la battaglia di Aleppo? In quattro anni e mezzo, la comunità internazionale non è riuscita a salvare questa città-martire, la Sarajevo - e ben di più! - del XXI secolo.
Come risuona il messaggio di Natale, in questo mondo segnato dall'assenza di speranza? Per capirlo bisogna tornare sulle pagine del Vangelo. Le narrazioni di Matteo e Luca hanno ispirato la fantasia degli artisti e dei credenti nell`immaginare il Natale. Le rappresentazioni dell'evento, specie il tanto popolare presepe di Francesco d'Assisi a Greccio (oggi diffuso in tante versioni), insistono tutte su un Gesù vicino, che torna a nascere nel nostro tempo e nelle nostre terre. La liturgia della notte di Natale e del 25 dicembre trasmette questo messaggio: un Dio vicino, fragile come un bambino, che può essere raggiunto ovunque. La fragilità del neonato è accompagnata dalla marginalità del luogo di nascita e dalle minacce alla sua vita. A causa della volontà
omicida del re Erode, la famiglia di Gesù dovette subito fuggire in Egitto. Così narra il Vangelo. L'evangelista Luca precisa che Maria «diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo» (2, 7). Questa breve frase ha accesso la fantasia di quanti hanno rappresentato Gesù bambino in ambienti miseri o in una grotta. Il santo settecentesco Alfonso Maria de' Liguori, con la sua pietà calda, compose in napoletano il canto natalizio Quando nascette Ninno, tanto noto in italiano, che si apre con la strofa «Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo, e vieni in una grotta al freddo e al gelo». È l'espressione vivace dello "stupore" (parola evangelica) verso il "re del cielo" che si ritrova in una condizione di estrema fragilità. Nella semplicità del Natale, si manifesta quella che l'apostolo Paolo chiama la kenosi, l'abbassamento di Dio: «Pur essendo di natura divina, / non considerò un tesoro geloso / la sua uguaglianza con Dio; / ma spogliò se stesso, / assumendo la condizione di servo / e divenendo simile agli uomini... (PII 2, 6-7)».
Naturalmente questi temi e queste immagini hanno un significato particolare per il cristiano, anche per quella religione popolare, spesso troppo disprezzata da quanti si pongono come ingegneri di un cristianesimo coerente. Ma hanno pure un significato per la cultura e l'umanesimo del nostro Paese, anche se non connesse ad una fede personale. Torna alla mente la definizione del cristianesimo da parte del filosofo Benedetto Croce, laico e liberale: «La più grande rivoluzione», scriveva nel 1942, «che l'umanità abbia mai compiuto: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non meraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall'alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane...». In piena guerra mondiale, Croce rivendicava l'essenza "cristiana" della civiltà europea in un saggio dal titolo espressivo, Perché non possiamo non dirci cristiani.
Dopo la distruzione di Aleppo e la terribile guerra in Siria, di fronte alle minacce del terrorismo omicida, viene da interrogarsi dove sia l'umanità del nostro tempo, impotente o distratto verso terribili vicende, che potevano essere evitate o limitate. Riflettere sul Natale, celebrarlo, ricordare il cristianesimo come la più grande rivoluzione dell'umanità, può aiutarci a non dimenticare tanto dolore. Ma pone anche la domanda su come possiamo ancora dirci ed essere umani e - se vogliamo - cristiani.
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