Andrea Riccardi, nella rubrica "Religioni e civiltà" del magazine Sette del Corriere della Sera, ricorda Mario Soares, a cui lo legava una lunga amicizia.
Un tempo la parola "antifascismo" aveva una sua attualità politica ed
era ricorrente. Oggi non se ne parla più. Eppure l'antifascismo è
parte importante della storia recente d'Italia e d'Europa. È stato
resistere, in tempi difficili e da posizioni minoritarie, al fascismo,
al nazismo e ai vari regimi autoritari. Non sono storie perdute nel
passato. È da poco scomparsa una figura che incarnava questi ideali:
il "padre" della democrazia portoghese, Mario Soares, un vero
antifascista, oppositore tenace del regime autoritario e colonialista
di Salazar. L'ho conosciuto bene e con amicizia: un uomo coraggioso,
fiducioso nella vittoria della giustizia. Era nato nel 1924 e, già nel
1946, fu condotto nel carcere di Salazar da universitario. Traeva
l'opposizione "viscerale" al regime e un profondo senso della libertà
dalla lezione repubblicano-liberale del padre, pedagogo e fondatore di
una scuola (era un ex prete). La scuola, gestita dalla moglie di
Soares e ora dalla figlia, ha consentito alla famiglia di sopravvivere
durante la dittatura, mentre Mario conosceva il carcere e l'esilio. È
vicina all'appartamento medio-borghese e sobrio della famiglia, pieno
dei ricordi di una vita militante, dove Soares si è spento il 7
gennaio 2017.
Giovane comunista, Soares si avvicinò al socialismo e polemizzò contro il "totalitarismo comunista", incarnato in Portogallo da Alvaro Cunhal (suo professore di liceo). Più volte privato della libertà da Salazar, andò in esilio dalla fine degli anni Sessanta. Quando il regime cadde nel 1974 con la rivoluzione dei "garofani" (fatta da militari progressisti), ritornò a Lisbona, aureolato di prestigio internazionale, specie nel mondo socialista, forte dell'amicizia del presidente francese Mitterrand e di Willy Brandt. Soares intendeva guidare verso la democrazia e l'integrazione europea, un Portogallo arretrato e rimasto fuori dal mondo, perduto in impossibili guerre coloniali in Mozambico e in Angola. Alle elezioni per la Costituente, i socialisti ottennero la vittoria con il 3796 dei voti, ma i comunisti di Cunhal cercarono di monopolizzare la vita politica. Il Portogallo sarebbe diventato il primo Stato comunista d'Occidente? Henri Kissinger dichiarava: «... è perduto, ma in un certo modo è una cosa buona contro il comunismo in Occidente, un vaccino per la Spagna, la Francia e l'Italia». Soares non si rassegnò a diventare il Kerenski portoghese, come Kissinger prevedeva. Quando i sindacati comunisti tentarono di tacitare un giornale filosocialista, portò in piazza per la libertà 100.000 persone - non solo socialisti -, il 18 luglio 1975.
Soares mi ha raccontato che aveva vinto le obiezioni del patriarca di Lisbona, Ribeiro, sulle differenze ideologiche e aveva ottenuto che i cattolici scendessero in piazza con lui contro i comunisti. Da allora, Soares è stato al centro della politica portoghese, dando l'indipendenza alle colonie e portando il paese nella Comunità europea: più volte primo ministro e presidente della Repubblica dal 1986 al 1996, è stato il più grande personaggio del Portogallo democratico. Era un anticonformista, come quando - in visita in Tunisia da capo dello Stato - andò a trovare Bettino Craxi, espatriato per Mani Pulite: «Ero amico e mi ha aiutato durante il tempo di Salazar, gli sono grato...» - spiegò.
D'altra parte, trovò meschino il silenzio italiano alla morte di Umberto II, esiliato in Portogallo (che frequentava la presidenza) e chiese al presidente del consiglio Craxi che l'Italia facesse un gesto verso il suo ex re. Sono episodi significativi della storia di un uomo libero. Uscito dalla politica attiva, non aveva rinunciato, nonostante l'età, a misurarsi con i problemi della globalizzazione. Credeva molto, da laico, nel dialogo con le religioni che considerava necessario nel mondo globale. In un libro-intervista di qualche anno fa, constatando la crisi del socialismo, affermava però: «Lottare per una vita migliore per tutti gli esseri umani, in condizioni di libertà, di rispetto per la dignità della persona e di più grande giustizia sociale, è stato il senso di tutta la mia vita politica».
L'ultimo incontro tra Andrea Riccardi e Mario Soares, a Lisbona, nel maggio 2016 |
Giovane comunista, Soares si avvicinò al socialismo e polemizzò contro il "totalitarismo comunista", incarnato in Portogallo da Alvaro Cunhal (suo professore di liceo). Più volte privato della libertà da Salazar, andò in esilio dalla fine degli anni Sessanta. Quando il regime cadde nel 1974 con la rivoluzione dei "garofani" (fatta da militari progressisti), ritornò a Lisbona, aureolato di prestigio internazionale, specie nel mondo socialista, forte dell'amicizia del presidente francese Mitterrand e di Willy Brandt. Soares intendeva guidare verso la democrazia e l'integrazione europea, un Portogallo arretrato e rimasto fuori dal mondo, perduto in impossibili guerre coloniali in Mozambico e in Angola. Alle elezioni per la Costituente, i socialisti ottennero la vittoria con il 3796 dei voti, ma i comunisti di Cunhal cercarono di monopolizzare la vita politica. Il Portogallo sarebbe diventato il primo Stato comunista d'Occidente? Henri Kissinger dichiarava: «... è perduto, ma in un certo modo è una cosa buona contro il comunismo in Occidente, un vaccino per la Spagna, la Francia e l'Italia». Soares non si rassegnò a diventare il Kerenski portoghese, come Kissinger prevedeva. Quando i sindacati comunisti tentarono di tacitare un giornale filosocialista, portò in piazza per la libertà 100.000 persone - non solo socialisti -, il 18 luglio 1975.
Soares mi ha raccontato che aveva vinto le obiezioni del patriarca di Lisbona, Ribeiro, sulle differenze ideologiche e aveva ottenuto che i cattolici scendessero in piazza con lui contro i comunisti. Da allora, Soares è stato al centro della politica portoghese, dando l'indipendenza alle colonie e portando il paese nella Comunità europea: più volte primo ministro e presidente della Repubblica dal 1986 al 1996, è stato il più grande personaggio del Portogallo democratico. Era un anticonformista, come quando - in visita in Tunisia da capo dello Stato - andò a trovare Bettino Craxi, espatriato per Mani Pulite: «Ero amico e mi ha aiutato durante il tempo di Salazar, gli sono grato...» - spiegò.
D'altra parte, trovò meschino il silenzio italiano alla morte di Umberto II, esiliato in Portogallo (che frequentava la presidenza) e chiese al presidente del consiglio Craxi che l'Italia facesse un gesto verso il suo ex re. Sono episodi significativi della storia di un uomo libero. Uscito dalla politica attiva, non aveva rinunciato, nonostante l'età, a misurarsi con i problemi della globalizzazione. Credeva molto, da laico, nel dialogo con le religioni che considerava necessario nel mondo globale. In un libro-intervista di qualche anno fa, constatando la crisi del socialismo, affermava però: «Lottare per una vita migliore per tutti gli esseri umani, in condizioni di libertà, di rispetto per la dignità della persona e di più grande giustizia sociale, è stato il senso di tutta la mia vita politica».
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