Cresce il numero degli anziani, un fenomeno globale, una sfida per le società chiamate a scoprire il valore della vecchiaia fino a cambiare la mentalità corrente. Ne parla Andrea Riccardi in questo articolo pubblicato oggi 10 marzo 2017 sul magazine Sette del Corriere della Sera.
C'è una grande sfida per la nostra civiltà: l'aumento della popolazione anziana. Se ne parla troppo poco. Si discute al massimo di alcuni aspetti secondari, come il maggior carico per il sistema sanitario o pensionistico. Eppure c'è un fatto assolutamente nuovo: si vive molto di più che in passato. La cosiddetta terza età conosce un prolungamento unico nella storia dell'umanità. L'ultimo censimento Istat (per il decennio 2001-2011) ha registrato un enorme balzo in avanti nella classe degli ultracentenari, aumentata di ben il 204%. Si è realizzato un sogno antico dell'umanità: vivere di più e allontanare lo spettro della morte.
Tuttavia la società non è attrezzata a dare significato e gestire un fenomeno, di per sé, molto positivo. Forse perché si tratta di una stagione segnata dal declino, dalla riduzione dell'autonomia e da una presenza forte della malattia. Ma c'è qualcosa di più serio: manca nella mentalità corrente il senso del valore della vecchiaia. Siamo ancora al latino Terenzio per cui senectus ipsa est morbus (la vecchiaia è per se stessa una malattia). Invece è una stagione della vita da "reinventare" nel suo complesso: per gli anziani e per la società.
Oggi, a differenza del passato, gli anziani sono tanti. In Italia quelli oltre i 65 anni sono il 21,7% della popolazione (e quelli oltre gli 80 arrivano al 6,5%). Il fenomeno non riguarda però solo le società industriali, ma è globale. In Africa cresce il numero degli anziani e declina la funzione sociale dei vecchi. Nel 1962, lo scrittore maliano Amadou Hampate Ba parlò così del ruolo del vecchio: «In Africa ogni volta che un anziano muore è come se bruciasse una biblioteca». La società africana è cambiata. Ci sono tanti anziani, comunemente senza pensione e assistenza sanitaria. La povertà degli anziani africani è un grave problema. In qualche caso vengono eliminati con l'accusa di stregoneria. L'anziano non è più il saggio della comunità, ma un peso in una società in rapido cambiamento.
La crescita degli anziani come fenomeno di massa si scontra con l'impreparazione della società. Talvolta si reagisce soggettivamente negando l'età che avanza e nascondendola in una specie di giovanilismo. D'altra parte la vecchiaia viene vissuta come naufragio di una stagione della vita senza senso. Innanzitutto, c'è il problema di dove e come vivono gli anziani. In Italia il 30,4% abita da solo: la famiglia si è ristretta e ha meno capacità di gestire i suoi anziani. A questa difficoltà ha risposto in parte l'invenzione creativa della badante, quasi sempre immigrata. Per il 2,1% degli anziani c'è l'istituto: una soluzione dolorosa, se la si vede da vicino. Per alcune famiglie, in situazioni di povertà, la pensione del vecchio rappresenta ancora una risorsa, seppur piccola.
Lo storico francese Philippe Ariès ha parlato della "scoperta dell'infanzia" nell'età moderna con l'attribuzione di nuovi valori e di un posto particolare per il bambino nella famiglia (che - secondo lo studioso - è tutt'altro che decaduta negli ultimi secoli). In questa età postmoderna non sarebbe necessario scoprire i valori della vecchiaia e renderli un fatto di mentalità corrente? Una lunga vita, la possibilità di instaurare rapporti gratuiti e meno caratterizzati economicamente, una relazione con le generazioni più giovani (i nonni con i nipoti e gli anziani con i bambini), la manifestazione che la vita non è solo ascesa sociale e progresso infinito sono alcuni di questi valori. Altri vanno scoperti.
Certo il mondo degli anziani può rappresentare, in società troppo competitive, una compensazione nel senso della gratuità delle relazioni. Il grande studioso romeno, Mircea Eliade, scriveva: «Siamo nati tutti con una superstizione: che ci attendano posti migliori in alto, mai più in basso». La sfida degli anziani (nel 2050 secondo le proiezioni più di un italiano su tre sarà vecchio) mostrerà se la nostra società, così emotiva e cangiante, sarà capace di produrre sapienza e significati. Vedremo se saprà dare senso alla vita di un terzo della popolazione e non considerarla una sopravvivenza residuale.
C'è una grande sfida per la nostra civiltà: l'aumento della popolazione anziana. Se ne parla troppo poco. Si discute al massimo di alcuni aspetti secondari, come il maggior carico per il sistema sanitario o pensionistico. Eppure c'è un fatto assolutamente nuovo: si vive molto di più che in passato. La cosiddetta terza età conosce un prolungamento unico nella storia dell'umanità. L'ultimo censimento Istat (per il decennio 2001-2011) ha registrato un enorme balzo in avanti nella classe degli ultracentenari, aumentata di ben il 204%. Si è realizzato un sogno antico dell'umanità: vivere di più e allontanare lo spettro della morte.
Tuttavia la società non è attrezzata a dare significato e gestire un fenomeno, di per sé, molto positivo. Forse perché si tratta di una stagione segnata dal declino, dalla riduzione dell'autonomia e da una presenza forte della malattia. Ma c'è qualcosa di più serio: manca nella mentalità corrente il senso del valore della vecchiaia. Siamo ancora al latino Terenzio per cui senectus ipsa est morbus (la vecchiaia è per se stessa una malattia). Invece è una stagione della vita da "reinventare" nel suo complesso: per gli anziani e per la società.
Oggi, a differenza del passato, gli anziani sono tanti. In Italia quelli oltre i 65 anni sono il 21,7% della popolazione (e quelli oltre gli 80 arrivano al 6,5%). Il fenomeno non riguarda però solo le società industriali, ma è globale. In Africa cresce il numero degli anziani e declina la funzione sociale dei vecchi. Nel 1962, lo scrittore maliano Amadou Hampate Ba parlò così del ruolo del vecchio: «In Africa ogni volta che un anziano muore è come se bruciasse una biblioteca». La società africana è cambiata. Ci sono tanti anziani, comunemente senza pensione e assistenza sanitaria. La povertà degli anziani africani è un grave problema. In qualche caso vengono eliminati con l'accusa di stregoneria. L'anziano non è più il saggio della comunità, ma un peso in una società in rapido cambiamento.
La crescita degli anziani come fenomeno di massa si scontra con l'impreparazione della società. Talvolta si reagisce soggettivamente negando l'età che avanza e nascondendola in una specie di giovanilismo. D'altra parte la vecchiaia viene vissuta come naufragio di una stagione della vita senza senso. Innanzitutto, c'è il problema di dove e come vivono gli anziani. In Italia il 30,4% abita da solo: la famiglia si è ristretta e ha meno capacità di gestire i suoi anziani. A questa difficoltà ha risposto in parte l'invenzione creativa della badante, quasi sempre immigrata. Per il 2,1% degli anziani c'è l'istituto: una soluzione dolorosa, se la si vede da vicino. Per alcune famiglie, in situazioni di povertà, la pensione del vecchio rappresenta ancora una risorsa, seppur piccola.
Lo storico francese Philippe Ariès ha parlato della "scoperta dell'infanzia" nell'età moderna con l'attribuzione di nuovi valori e di un posto particolare per il bambino nella famiglia (che - secondo lo studioso - è tutt'altro che decaduta negli ultimi secoli). In questa età postmoderna non sarebbe necessario scoprire i valori della vecchiaia e renderli un fatto di mentalità corrente? Una lunga vita, la possibilità di instaurare rapporti gratuiti e meno caratterizzati economicamente, una relazione con le generazioni più giovani (i nonni con i nipoti e gli anziani con i bambini), la manifestazione che la vita non è solo ascesa sociale e progresso infinito sono alcuni di questi valori. Altri vanno scoperti.
Certo il mondo degli anziani può rappresentare, in società troppo competitive, una compensazione nel senso della gratuità delle relazioni. Il grande studioso romeno, Mircea Eliade, scriveva: «Siamo nati tutti con una superstizione: che ci attendano posti migliori in alto, mai più in basso». La sfida degli anziani (nel 2050 secondo le proiezioni più di un italiano su tre sarà vecchio) mostrerà se la nostra società, così emotiva e cangiante, sarà capace di produrre sapienza e significati. Vedremo se saprà dare senso alla vita di un terzo della popolazione e non considerarla una sopravvivenza residuale.
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