All'indomani del dibattito televisivo tra Emmanuel Macron e
Marine Le Pen, una riflessione di Andrea Riccardi sul voto francese, divenuto anch'esso mobile ed emotivo,
non legato più a fedeltà storiche o ideologiche. Colpisce che per la prima volta gollisti e socialisti siano rimasti fuori dal ballottaggio. Certi valori però sopravvivono. E i francesi, sostiene Riccardi, hanno votato per l'Europa. Un fatto rilevante per il futuro di tutto il continente.
Le elezioni presidenziali in Francia hanno tenuto l'Europa con il fiato sospeso. La grande domanda era sull'affermazione di Marine Le Pen che, al primo scrutinio, è risultata importante, ma piuttosto contenuta: il 21,3%. Nel 2002, suo padre, Jean-Marie, era arrivato al ballottaggio con quasi il 17%, primo esponente di destra non gollista a giungere a una simile posizione. Alle elezioni del 2012, Marine era arrivata quasi al 18%, che non le consentì comunque di entrare in ballottaggio con Hollande. Quest'anno non si è verificata quella valanga di voti che si temeva, anche se non va sottovalutata l'attrazione del voto populista su un mondo di francesi spaesati. Per la prima volta, i candidati legati ai partiti protagonisti della Quinta Repubblica, gollisti e socialisti, non entrano nel ballottaggio per il presidente. Tuttavia Fillon, con il 20% dei suffragi, mostra che i gollisti hanno ancora un patrimonio elettorale. Hamon, con il suo modesto 6%, ha messo in luce l'erosione grave del partito socialista, insidiato dalla sinistra di Mélenchon (che ha mobilitato, anche attraverso la Rete, un vasto sostegno alla sua persona) con il 19,6% . Forse, se si fosse presentato Hollande, i socialisti avrebbero avuto un maggiore successo. Anche in Francia, oggi, nessun risultato è scontato. Lo mostra soprattutto il successo di Emmanuel Macron con il 24,1% di voti cui, nel prossimo ballottaggio, si aggiungeranno quelli di Fillon e della sinistra. In Italia si discute molto di Macron e se ne traggono conseguenze per la nostra politica. In realtà Italia e Francia sono diverse, non fosse per la forza dello Stato in quest'ultimo Paese.
Il candidato all'Eliseo con più probabilità di successo ha una sua storia come banchiere, vicino a Hollande, di cui è stato ministro. Ha ottenuto l'appoggio dei centristi "storici" per la sua candidatura. Giovane e dinamico, è cresciuto nella campagna elettorale, venendo a rappresentare, per la sua età e il suo carattere innovativo, il rinnovamento, ma anche una sicurezza per la sua storia istituzionale e il suo equilibrio. Oggi, con l'eventuale presidenza Macron e con la probabile vittoria della Merkel alle prossime elezioni, si può contare su una base politica sicura per procedere a realizzare il progetto di un'Unione più stretta tra i Paesi europei interessati. Non si può più aspettare. L'irrilevanza dei singoli Stati europei, in un quadro di disordine mondiale, diventa sempre più pericolosa. I populisti dicono di voler salvare le nazioni dalla burocrazia europea: in realtà per salvare la nostra civiltà e per aprirla al futuro ci vuole più Europa. E i francesi hanno votato per l'Europa.
Le elezioni presidenziali in Francia hanno tenuto l'Europa con il fiato sospeso. La grande domanda era sull'affermazione di Marine Le Pen che, al primo scrutinio, è risultata importante, ma piuttosto contenuta: il 21,3%. Nel 2002, suo padre, Jean-Marie, era arrivato al ballottaggio con quasi il 17%, primo esponente di destra non gollista a giungere a una simile posizione. Alle elezioni del 2012, Marine era arrivata quasi al 18%, che non le consentì comunque di entrare in ballottaggio con Hollande. Quest'anno non si è verificata quella valanga di voti che si temeva, anche se non va sottovalutata l'attrazione del voto populista su un mondo di francesi spaesati. Per la prima volta, i candidati legati ai partiti protagonisti della Quinta Repubblica, gollisti e socialisti, non entrano nel ballottaggio per il presidente. Tuttavia Fillon, con il 20% dei suffragi, mostra che i gollisti hanno ancora un patrimonio elettorale. Hamon, con il suo modesto 6%, ha messo in luce l'erosione grave del partito socialista, insidiato dalla sinistra di Mélenchon (che ha mobilitato, anche attraverso la Rete, un vasto sostegno alla sua persona) con il 19,6% . Forse, se si fosse presentato Hollande, i socialisti avrebbero avuto un maggiore successo. Anche in Francia, oggi, nessun risultato è scontato. Lo mostra soprattutto il successo di Emmanuel Macron con il 24,1% di voti cui, nel prossimo ballottaggio, si aggiungeranno quelli di Fillon e della sinistra. In Italia si discute molto di Macron e se ne traggono conseguenze per la nostra politica. In realtà Italia e Francia sono diverse, non fosse per la forza dello Stato in quest'ultimo Paese.
Il candidato all'Eliseo con più probabilità di successo ha una sua storia come banchiere, vicino a Hollande, di cui è stato ministro. Ha ottenuto l'appoggio dei centristi "storici" per la sua candidatura. Giovane e dinamico, è cresciuto nella campagna elettorale, venendo a rappresentare, per la sua età e il suo carattere innovativo, il rinnovamento, ma anche una sicurezza per la sua storia istituzionale e il suo equilibrio. Oggi, con l'eventuale presidenza Macron e con la probabile vittoria della Merkel alle prossime elezioni, si può contare su una base politica sicura per procedere a realizzare il progetto di un'Unione più stretta tra i Paesi europei interessati. Non si può più aspettare. L'irrilevanza dei singoli Stati europei, in un quadro di disordine mondiale, diventa sempre più pericolosa. I populisti dicono di voler salvare le nazioni dalla burocrazia europea: in realtà per salvare la nostra civiltà e per aprirla al futuro ci vuole più Europa. E i francesi hanno votato per l'Europa.
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