Un editoriale di Andrea Riccardi fa il punto sulla politica nei contronti della Libia, dopo che la Francia di Macron si è mossa da sola.
In realtà, spiega Riccardi, in Libia si intrecciano tre situazioni drammatiche, diverse ma strettamente intrecciate: la lotta all'ISIS, la questione dei migranti dall'Africa, la capacità dell'Unione Europea di agire senza divisioni.
Nella foto, la stretta di mano tra il premier libico Serraj e il generale Haftar, sotto gli occhi del presidente francese Emmanuel Macron al termine dell'incontro svoltosi nel castello di La Celle Saint Cloud, alle porte di Parigi.
Bene ha fatto Gentiloni a non drammatizzare l'iniziativa di Macron: far incontrare in Francia il premier libico Al Serraj con il generale Haftar. Certo l'Italia avrebbe dovuto esserci, come capofila delle azioni in Libia.
Non importa. Da un atto di diplomazia personale, non poteva emergere molto di nuovo in una situazione così ingarbugliata. Ma ben venga tutto ciò che può creare unità in Libia. Purtroppo Haftar (appoggiato da Egitto ed Emirati, in buoni rapporti con Russia e Francia) ha subito ripreso, dopo la stretta di mano, la sua durezza verso Serraj, invitandolo a tornare a fare l'ingegnere. Questi, che controlla poco territorio ma è riconosciuto dall'Onu, è venuto a Roma. Qui, l'ennesima giravolta: prima la richiesta di navi italiane, poi un passo indietro con roboanti dichiarazioni sulla sovranità libica. Infine il compromesso: le navi italiane sosterranno i libici contro i trafficanti e per salvare i migranti. La vicenda mostra tre situazioni drammatiche; diverse, ma intrecciate tra loro. La prima è una Libia divisa e bellicosa, dove il debole Serraj non crea unità, ma nemmeno l'altero e forte Haftar è la soluzione. C`è l'Isis da respingere. Ci sono forze, clan e tribù abituate al particolarismo. Dietro tanti giochi pericolosi, si vedono i padrini internazionali. C`è poi la seconda drammatica situazione: i migranti. Nei primi sei mesi del 2017 gli sbarchi in Italia sono aumentati del 18% rispetto al 2016. Molto, ma non l`invasione com`è percepita in Italia. Ci si chiede perché arrivino gli ivoriani, i guineani o i senegalesi, provenienti da Paesi in pace. E qui si vede la necessità di responsabilizzare i Governi africani e di una comune politica euro-africana. Il trasporto di gente dal Bangladesh alla Libia mostra la potenza dei mercanti di esseri umani. Molti Paesi europei sognano di chiudere le rotte nel Mediterraneo o in Libia, come nei Balcani. In questa prospettiva l'Italia sarebbe inconcludente o buonista. Ma c`è un enorme problema umanitario. E poi il mare e l'inquieto territorio libico sono differenti dai Balcani. Infine, l'incapacità europea di fare una politica unitaria sulla Libia (e quindi sui migranti che la attraversano). Se l'Europa orientale reagisce con i muri, quella occidentale non ha il coraggio di investire in una politica comune e persegue interessi di breve respiro e molto nazionali. In una "periferia" come la Libia, si gioca tanto del futuro dell'Unione. Solo un'Europa capace di politica comune riuscirà a ricreare le condizioni di uno Stato libico unitario e imporle agli attori interni ed esterni. Altrimenti la Libia resterà terra di nessuno, pericolosamente ricca di petrolio. E sarà una trappola per chi fugge cercando un futuro migliore.
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Bene ha fatto Gentiloni a non drammatizzare l'iniziativa di Macron: far incontrare in Francia il premier libico Al Serraj con il generale Haftar. Certo l'Italia avrebbe dovuto esserci, come capofila delle azioni in Libia.
Non importa. Da un atto di diplomazia personale, non poteva emergere molto di nuovo in una situazione così ingarbugliata. Ma ben venga tutto ciò che può creare unità in Libia. Purtroppo Haftar (appoggiato da Egitto ed Emirati, in buoni rapporti con Russia e Francia) ha subito ripreso, dopo la stretta di mano, la sua durezza verso Serraj, invitandolo a tornare a fare l'ingegnere. Questi, che controlla poco territorio ma è riconosciuto dall'Onu, è venuto a Roma. Qui, l'ennesima giravolta: prima la richiesta di navi italiane, poi un passo indietro con roboanti dichiarazioni sulla sovranità libica. Infine il compromesso: le navi italiane sosterranno i libici contro i trafficanti e per salvare i migranti. La vicenda mostra tre situazioni drammatiche; diverse, ma intrecciate tra loro. La prima è una Libia divisa e bellicosa, dove il debole Serraj non crea unità, ma nemmeno l'altero e forte Haftar è la soluzione. C`è l'Isis da respingere. Ci sono forze, clan e tribù abituate al particolarismo. Dietro tanti giochi pericolosi, si vedono i padrini internazionali. C`è poi la seconda drammatica situazione: i migranti. Nei primi sei mesi del 2017 gli sbarchi in Italia sono aumentati del 18% rispetto al 2016. Molto, ma non l`invasione com`è percepita in Italia. Ci si chiede perché arrivino gli ivoriani, i guineani o i senegalesi, provenienti da Paesi in pace. E qui si vede la necessità di responsabilizzare i Governi africani e di una comune politica euro-africana. Il trasporto di gente dal Bangladesh alla Libia mostra la potenza dei mercanti di esseri umani. Molti Paesi europei sognano di chiudere le rotte nel Mediterraneo o in Libia, come nei Balcani. In questa prospettiva l'Italia sarebbe inconcludente o buonista. Ma c`è un enorme problema umanitario. E poi il mare e l'inquieto territorio libico sono differenti dai Balcani. Infine, l'incapacità europea di fare una politica unitaria sulla Libia (e quindi sui migranti che la attraversano). Se l'Europa orientale reagisce con i muri, quella occidentale non ha il coraggio di investire in una politica comune e persegue interessi di breve respiro e molto nazionali. In una "periferia" come la Libia, si gioca tanto del futuro dell'Unione. Solo un'Europa capace di politica comune riuscirà a ricreare le condizioni di uno Stato libico unitario e imporle agli attori interni ed esterni. Altrimenti la Libia resterà terra di nessuno, pericolosamente ricca di petrolio. E sarà una trappola per chi fugge cercando un futuro migliore.
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