Venduti, resi schiavi, torturati, vittime di violenze inumane. È la condizione dei profughi.
La loro voce non arriva, le Nazioni Unite stentano a intervenire, ma noi cristiani non possiamo rimanere insensibili.
Un editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 3 settembre 2017
Durante l'estate si è molto discusso di migranti e rifugiati. Un tema centrale nel dibattito politico, talvolta gridato e strumentalizzato. Si sono sentite le ragioni di chi è sensibile al dramma dei "dannati della terra" che vengono dal Sud del mondo. E poi le repliche di chi afferma che l'Italia non è in grado, politicamente ed economicamente, di risolvere i loro problemi.
Ma - una volta tanto - mettiamo da parte la nostra prospettiva: l'accoglienza in Italia o le scelte del Governo. Facciamo silenzio per ascoltare le voci lontane di quanti sono in Libia, dopo lunghi viaggi nel deserto, dopo aver pagato grandi costi umani oltre che economici.
Sono voci flebili, raramente recepite dai media. Il quotidiano Le Monde ha pubblicato vari reportage dalla Libia. Il primo ha un titolo che dice tutto: Dans l'enfer libyen ("Nell'inferno libico"). Vittime di violenze sistematiche, di incarcerazioni inumane, di tratta ed estorsioni, i migranti sono un popolo di vessati e umiliati. È la condizione di tanti, passati attraverso le mafie dei viaggi: venduti alle prigioni, utilizzati come mano d'opera forzata, taglieggiati, costretti a telefonare ai familiari lontani e a far udire loro gli urli sotto le percosse per ottenere un riscatto.
Anni fa, un giovane etiopico, arrivato in Libia e mai riuscito a raggiungere l'Italia, mi disse: «L'unica mia fortuna è che ero un uomo e non mi hanno violentato come le donne. Per il resto mi hanno fatto di tutto». L'85 per cento dei migranti ha subìto in Libia torture o trattamenti degradanti, secondo un'inchiesta di Medici per i diritti umani. Il coraggioso Domenico Quirico, inviato della Stampa, è andato a vedere un centro di detenzione a Tripoli: «Centinaia di volti e corpi seminudi per il calore... stivati l`uno accanto all`altro... corrosi, stremati, spolpati, distorti, bolsi».
Nel caos libico, popolato di milizie e bande, non c'è sicurezza per l'azione dell'Alto commissariato per i rifugiati dell'Onu e dell'Organizzazione internazionale delle migrazioni, che stentano a intervenire. Diversa è la situazione dei rifugiati in Turchia, sotto controllo di uno Stato organizzato e delle istituzioni internazionali. Non arriva facilmente a noi il grido dei migranti-prigionieri in Libia. Ma qualcuno dovrà ascoltarlo. In Italia e in Europa. Nelle sedi internazionali. Tra gli Stati africani, troppo disinteressati alla sorte dei loro concittadini. Nel mondo. Dovranno aprire gli occhi almeno i cristiani. Come ha detto il cardinale Parolin: i migranti «sono nostri fratelli. E questa parola traccia una divisione netta tra coloro che riconoscono Dio nei poveri e nei bisognosi e coloro che non lo riconoscono».
La loro voce non arriva, le Nazioni Unite stentano a intervenire, ma noi cristiani non possiamo rimanere insensibili.
Un editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 3 settembre 2017
Durante l'estate si è molto discusso di migranti e rifugiati. Un tema centrale nel dibattito politico, talvolta gridato e strumentalizzato. Si sono sentite le ragioni di chi è sensibile al dramma dei "dannati della terra" che vengono dal Sud del mondo. E poi le repliche di chi afferma che l'Italia non è in grado, politicamente ed economicamente, di risolvere i loro problemi.
Ma - una volta tanto - mettiamo da parte la nostra prospettiva: l'accoglienza in Italia o le scelte del Governo. Facciamo silenzio per ascoltare le voci lontane di quanti sono in Libia, dopo lunghi viaggi nel deserto, dopo aver pagato grandi costi umani oltre che economici.
Sono voci flebili, raramente recepite dai media. Il quotidiano Le Monde ha pubblicato vari reportage dalla Libia. Il primo ha un titolo che dice tutto: Dans l'enfer libyen ("Nell'inferno libico"). Vittime di violenze sistematiche, di incarcerazioni inumane, di tratta ed estorsioni, i migranti sono un popolo di vessati e umiliati. È la condizione di tanti, passati attraverso le mafie dei viaggi: venduti alle prigioni, utilizzati come mano d'opera forzata, taglieggiati, costretti a telefonare ai familiari lontani e a far udire loro gli urli sotto le percosse per ottenere un riscatto.
Anni fa, un giovane etiopico, arrivato in Libia e mai riuscito a raggiungere l'Italia, mi disse: «L'unica mia fortuna è che ero un uomo e non mi hanno violentato come le donne. Per il resto mi hanno fatto di tutto». L'85 per cento dei migranti ha subìto in Libia torture o trattamenti degradanti, secondo un'inchiesta di Medici per i diritti umani. Il coraggioso Domenico Quirico, inviato della Stampa, è andato a vedere un centro di detenzione a Tripoli: «Centinaia di volti e corpi seminudi per il calore... stivati l`uno accanto all`altro... corrosi, stremati, spolpati, distorti, bolsi».
Nel caos libico, popolato di milizie e bande, non c'è sicurezza per l'azione dell'Alto commissariato per i rifugiati dell'Onu e dell'Organizzazione internazionale delle migrazioni, che stentano a intervenire. Diversa è la situazione dei rifugiati in Turchia, sotto controllo di uno Stato organizzato e delle istituzioni internazionali. Non arriva facilmente a noi il grido dei migranti-prigionieri in Libia. Ma qualcuno dovrà ascoltarlo. In Italia e in Europa. Nelle sedi internazionali. Tra gli Stati africani, troppo disinteressati alla sorte dei loro concittadini. Nel mondo. Dovranno aprire gli occhi almeno i cristiani. Come ha detto il cardinale Parolin: i migranti «sono nostri fratelli. E questa parola traccia una divisione netta tra coloro che riconoscono Dio nei poveri e nei bisognosi e coloro che non lo riconoscono».
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