"Non si tratta di ius soli, ma ius culturae: non concederlo equivale a ghettizzare". In un editoriale su Famiglia Cristiana del 24/09/2017, Andrea Riccardi interviene sul tema della cittadinanza ai minori figli di stranieri che sono nati in Italia o che studiano nel nostro Paese da almeno cinque anni, facendo chiarezza sulla differenza tra Ius soli e Ius culturae
Ci sono problemi sulla strada dell'approvazione della legge per la cittadinanza ai bambini figli di stranieri nati in Italia o qui da lungo tempo. L'hanno chiamato Ius soli. In realtà è il nome dato dagli avversari al provvedimento, che lo considerano un'apertura indiscriminata a stranieri che invaderanno l'Italia.
La stampa e il dibattito politico hanno, erroneamente, accettato di parlare di lus soli. Credo sia corretto, invece, chiamarlo lus culturae, perché riguarda i nati in Italia, figli di stranieri, o quelli arrivati con i genitori prima dei 12 anni: questi possono diventare cittadini dopo aver compiuto con profitto un ciclo di studi di cinque anni o un corso professionale. Gli studi, cioè la cultura, sono un passaggio decisivo per diventare italiani e integrarsi nella società. Si parla anche di Ius soli temperato, che concede la cittadinanza ai nati in Italia o ai figli di genitori con permesso di soggiorno permanente o di lungo periodo. In questa prospettiva, nessuno diventa cittadino italiano solo perché partorito sul suolo della Repubblica. La cittadinanza si acquista identificandosi nell'identità italiana, fin da bambini.
Il problema è semplice: vogliamo riconoscere la cittadinanza ai bambini che crescono con i nostri figli e che pensano il loro futuro nel nostro Paese? Rifiutarla significa volere per loro una vita "separata" dagli italiani. Quindi, una ghettizzazione. Non si capisce perché l'Italia, che ha seri problemi demografici, si debba privare di gente che vive con noi, parla italiano e si pensa qui per sempre. Vuol dire che c'interessano solo le "braccia" dei migranti e non la loro vita. Alcuni affermano che significherebbe l'inizio dell'islamizzazione dell'Italia. Ma più della metà degli "stranieri" sono cristiani, non musulmani. Questo non solo è sbagliato, ma pericoloso.
Si deve invece lavorare sull'integrazione con molta decisione. L'Italia è un Paese con la sua storia e la sua identità: per inserirsi qui è necessario condividerne la cultura e rispettarne le leggi. C'è spazio per chi accetta di condividere la nostra storia e il nostro futuro. C'è bisogno di nuovi italiani. La ripresa economica porrà in breve il problema di nuovi lavoratori. Nonostante l'apporto dei migranti, il numero dei decessi ha superato quello delle nascite, mentre la popolazione invecchia. Bisogna pensare un futuro dell'Italia, in continuità con la sua storia, ma come una nazione "più larga". Il passaggio della cittadinanza ai bambini è decisivo in questa prospettiva. Si deve strapparlo alla strumentalità delle polemiche politiche. Qui si gioca il futuro di tanti bambini. E anche quello del nostro Paese.
Ci sono problemi sulla strada dell'approvazione della legge per la cittadinanza ai bambini figli di stranieri nati in Italia o qui da lungo tempo. L'hanno chiamato Ius soli. In realtà è il nome dato dagli avversari al provvedimento, che lo considerano un'apertura indiscriminata a stranieri che invaderanno l'Italia.
La stampa e il dibattito politico hanno, erroneamente, accettato di parlare di lus soli. Credo sia corretto, invece, chiamarlo lus culturae, perché riguarda i nati in Italia, figli di stranieri, o quelli arrivati con i genitori prima dei 12 anni: questi possono diventare cittadini dopo aver compiuto con profitto un ciclo di studi di cinque anni o un corso professionale. Gli studi, cioè la cultura, sono un passaggio decisivo per diventare italiani e integrarsi nella società. Si parla anche di Ius soli temperato, che concede la cittadinanza ai nati in Italia o ai figli di genitori con permesso di soggiorno permanente o di lungo periodo. In questa prospettiva, nessuno diventa cittadino italiano solo perché partorito sul suolo della Repubblica. La cittadinanza si acquista identificandosi nell'identità italiana, fin da bambini.
Il problema è semplice: vogliamo riconoscere la cittadinanza ai bambini che crescono con i nostri figli e che pensano il loro futuro nel nostro Paese? Rifiutarla significa volere per loro una vita "separata" dagli italiani. Quindi, una ghettizzazione. Non si capisce perché l'Italia, che ha seri problemi demografici, si debba privare di gente che vive con noi, parla italiano e si pensa qui per sempre. Vuol dire che c'interessano solo le "braccia" dei migranti e non la loro vita. Alcuni affermano che significherebbe l'inizio dell'islamizzazione dell'Italia. Ma più della metà degli "stranieri" sono cristiani, non musulmani. Questo non solo è sbagliato, ma pericoloso.
Si deve invece lavorare sull'integrazione con molta decisione. L'Italia è un Paese con la sua storia e la sua identità: per inserirsi qui è necessario condividerne la cultura e rispettarne le leggi. C'è spazio per chi accetta di condividere la nostra storia e il nostro futuro. C'è bisogno di nuovi italiani. La ripresa economica porrà in breve il problema di nuovi lavoratori. Nonostante l'apporto dei migranti, il numero dei decessi ha superato quello delle nascite, mentre la popolazione invecchia. Bisogna pensare un futuro dell'Italia, in continuità con la sua storia, ma come una nazione "più larga". Il passaggio della cittadinanza ai bambini è decisivo in questa prospettiva. Si deve strapparlo alla strumentalità delle polemiche politiche. Qui si gioca il futuro di tanti bambini. E anche quello del nostro Paese.
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