La crisi catalana rappresenta un vulnus nel cuore dell'Europa. Andrea Riccardi, in un editoriale su Famiglia Cristiana, si interroga non solo sulle sue cause ma anche sulle vie possibili di soluzione. Tra mondo spagnolo e catalano, infatti, ci sono tante differenze ma anche tante realtà comuni.
L’indipendenza catalana farà esplodere la Spagna? I Governi di Madrid e Barcellona si trovano in un vicolo cieco che rischia di portare a decisioni irreparabili. Il Governo catalano ha predisposto una road map verso l'indipendenza, ha tenuto un referendum e ha comunicato i risultati. Ora può tornare indietro? Madrid si è contrapposta.
L'intervento della Guardia Civil e della Polizia nazionale contro i votanti catalani al referendum è stato inutile e brutale: ha inasprito gli animi e fatto aumentare l'antipatia verso Madrid. L'intervento del re, Felipe VI, è stato un richiamo severo ai catalani, probabilmente tenendo conto dell'opinione spagnola opposta all'indipendenza. Siamo al muro contro muro. Viene da chiedersi: si possono risolvere in questo modo le questioni, pur gravi, nell'Europa del XXI secolo? Non mi pare proprio. Nell'Europa del Novecento sono sorti nuovi Stati in questo modo solo con il crollo dell'Urss. Ma questa è un'altra vicenda. Tra il mondo spagnolo e quello catalano ci sono profonde differenze, ma anche tante realtà in comune: non solo la storia spagnola, l'economia, le famiglie e soprattutto l'unità europea. Da qui bisogna ripartire. La situazione è più complessa di una contrapposizione bipolare. Ci sono catalani favorevoli all'unità spagnola, che hanno manifestato per l'unità domenica scorsa. Il "divorzio" non si può decidere a strappi e uno Stato non può nascere con una maggioranza risicata.
Tuttavia l'unità non si può imporre con la forza. Ci vogliono dialogo, pazienza, apertura alle esigenze dell'altro, capacità di composizione, fantasia politica e istituzionale. E i governi di Madrid, nel tempo, hanno mostrato scarsa sensibilità verso la Catalogna, che si sente una nazione. Ma sentirsi nazione non vuol dire automaticamente diventare Stato. In Catalogna si è innescato un processo di estremizzazione molto emotivo.
La Chiesa spagnola ha mostrato saggezza, richiamando alla pazienza per evitare una contrapposizione senza uscita. I vescovi hanno chiesto il dialogo, preoccupati di decisioni irreversibili che creerebbero fratture nella società, nelle famiglie e nella Chiesa. Le nostre società, così emotive, spesso scelgono come si clicca sul Web "mi piace" o "non mi piace". Certo ci vogliono riforme importanti nella Costituzione spagnola e nello Statuto catalano. Ma viene da chiedersi se per fare questo le forze politiche in Spagna e in Catalogna non debbano affrontare le elezioni e chiedere al popolo di scegliere i rappresentanti che tracceranno l'assetto istituzionale e politico del futuro.
Potrebbero interessarti anche: gli editoriali di Andrea Riccardi sul Corriere della Sera
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L'intervento della Guardia Civil e della Polizia nazionale contro i votanti catalani al referendum è stato inutile e brutale: ha inasprito gli animi e fatto aumentare l'antipatia verso Madrid. L'intervento del re, Felipe VI, è stato un richiamo severo ai catalani, probabilmente tenendo conto dell'opinione spagnola opposta all'indipendenza. Siamo al muro contro muro. Viene da chiedersi: si possono risolvere in questo modo le questioni, pur gravi, nell'Europa del XXI secolo? Non mi pare proprio. Nell'Europa del Novecento sono sorti nuovi Stati in questo modo solo con il crollo dell'Urss. Ma questa è un'altra vicenda. Tra il mondo spagnolo e quello catalano ci sono profonde differenze, ma anche tante realtà in comune: non solo la storia spagnola, l'economia, le famiglie e soprattutto l'unità europea. Da qui bisogna ripartire. La situazione è più complessa di una contrapposizione bipolare. Ci sono catalani favorevoli all'unità spagnola, che hanno manifestato per l'unità domenica scorsa. Il "divorzio" non si può decidere a strappi e uno Stato non può nascere con una maggioranza risicata.
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