In questo articolo di Famiglia cristiana, Andrea Riccardi torna a parlare di terrorismo, in particolare della situazione della Somalia. In ottobre, a Mogadiscio, sono morte centinaia di persone. Ma nessuno ne parla.
Il terribile attentato a New York mostra come i "lupi solitari", radicalizzatisi sulla Rete, siano un costante pericolo. Daesh, così come più propriamente viene chiamato l'Isis, sconfitto nell'ambizione di creare uno Stato islamico in Medio Oriente, si rilancia con il terrorismo internazionale. Controlla organizzazioni radicali come in Libia o altri Paesi africani, ma stimola anche gente isolata a uccidere.
La guerra islamista non è solo contro l'Occidente, nonostante gli attentati a Barcellona e New York. Questi eventi hanno forte risonanza. Ci colpiscono perché conosciamo i luoghi. Il terrorismo agisce, però, in ogni parte del mondo, anche con logiche locali. In Afghanistan è uno strumento di lotta politica. In Burkina Faso quest'estate gli islamisti hanno colpito un ristorante della capitale, provocando dieci morti. In questo quadro preoccupante, spicca però, anche per il numero di morti (ben 358), il terribile attentato a Mogadiscio il 14 ottobre scorso. Un funzionario del Paese l'ha definito l’11 settembre della Somalia.
Due camion bomba hanno colpito il quartiere commerciale di Mogadiscio, una città di quasi tre milioni di abitanti. Hanno fatto strage di venditori ambulanti che affollavano la zona. Tra i caduti, quindici bambini. L'evento tragico non ha avuto l'eco che meritava. La Somalia sembra lontana e condannata al caos. Il 28 ottobre, un altro attentato con tredici morti sempre a Mogadiscio. La Somalia interessa poco l'opinione mondiale, perché considerata uno Stato fallito, una terra "perduta".
È una sensazione che ci portiamo dietro da molti anni, da quel 1993 in cui fallì l'operazione Restore Hope, voluta dagli americani. In realtà, tra tanta violenza, la storia è continuata in Somalia e qualche speranza si è accesa. Gli americani lottano contro i terroristi. C'è stata una visita dei vertici militari Usa, prima del primo attacco terroristico. Gli attentati sono attribuiti ad Al Shabaab, l'organizzazione jihadista che così risponde alla campagna antiterrorista. Oggi, in Somalia, si svolge anche un serio conflitto politico. Il presidente Farmajo, in carica da febbraio, non ha seguito i sauditi e gli Emirati nell'isolare il Qatar. Il che non è gradito a Riyad e viene contestato in Somalia.
Inoltre nel Paese c'è una forte presenza della Turchia con aiuti e una base militare. Nel 2011 Erdogan visitò Mogadiscio. La Somalia non è terra di nessuno, ma una regione dove si combattono influenze varie a fronte di istituzioni fragili. Qui, da tempo, combatte il terrorismo di Al Shabaab. Tanti somali però hanno lasciato il Paese. Sono ovunque. Se ne trovano molti a Dadaad, in Kenya, vicino alla frontiera somala, nel più grande campo di rifugiati: 300 mila persone. Chi resta in patria è stremato e aspira solo alla pace.
Il terribile attentato a New York mostra come i "lupi solitari", radicalizzatisi sulla Rete, siano un costante pericolo. Daesh, così come più propriamente viene chiamato l'Isis, sconfitto nell'ambizione di creare uno Stato islamico in Medio Oriente, si rilancia con il terrorismo internazionale. Controlla organizzazioni radicali come in Libia o altri Paesi africani, ma stimola anche gente isolata a uccidere.
La guerra islamista non è solo contro l'Occidente, nonostante gli attentati a Barcellona e New York. Questi eventi hanno forte risonanza. Ci colpiscono perché conosciamo i luoghi. Il terrorismo agisce, però, in ogni parte del mondo, anche con logiche locali. In Afghanistan è uno strumento di lotta politica. In Burkina Faso quest'estate gli islamisti hanno colpito un ristorante della capitale, provocando dieci morti. In questo quadro preoccupante, spicca però, anche per il numero di morti (ben 358), il terribile attentato a Mogadiscio il 14 ottobre scorso. Un funzionario del Paese l'ha definito l’11 settembre della Somalia.
Due camion bomba hanno colpito il quartiere commerciale di Mogadiscio, una città di quasi tre milioni di abitanti. Hanno fatto strage di venditori ambulanti che affollavano la zona. Tra i caduti, quindici bambini. L'evento tragico non ha avuto l'eco che meritava. La Somalia sembra lontana e condannata al caos. Il 28 ottobre, un altro attentato con tredici morti sempre a Mogadiscio. La Somalia interessa poco l'opinione mondiale, perché considerata uno Stato fallito, una terra "perduta".
È una sensazione che ci portiamo dietro da molti anni, da quel 1993 in cui fallì l'operazione Restore Hope, voluta dagli americani. In realtà, tra tanta violenza, la storia è continuata in Somalia e qualche speranza si è accesa. Gli americani lottano contro i terroristi. C'è stata una visita dei vertici militari Usa, prima del primo attacco terroristico. Gli attentati sono attribuiti ad Al Shabaab, l'organizzazione jihadista che così risponde alla campagna antiterrorista. Oggi, in Somalia, si svolge anche un serio conflitto politico. Il presidente Farmajo, in carica da febbraio, non ha seguito i sauditi e gli Emirati nell'isolare il Qatar. Il che non è gradito a Riyad e viene contestato in Somalia.
Inoltre nel Paese c'è una forte presenza della Turchia con aiuti e una base militare. Nel 2011 Erdogan visitò Mogadiscio. La Somalia non è terra di nessuno, ma una regione dove si combattono influenze varie a fronte di istituzioni fragili. Qui, da tempo, combatte il terrorismo di Al Shabaab. Tanti somali però hanno lasciato il Paese. Sono ovunque. Se ne trovano molti a Dadaad, in Kenya, vicino alla frontiera somala, nel più grande campo di rifugiati: 300 mila persone. Chi resta in patria è stremato e aspira solo alla pace.
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