Con l'avvicinamento fra Israele e Arabia Saudita, la speranza era che si trovasse un'intesa fra israeliani e palestinesi. La decisione di Trump riapre la protesta palestinese. Ma bisogna evitare, ha ammonito papa Francesco, di aggiungere nuovi elementi di tensione.
Il commento di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana
Tra Israele e i palestinesi si è riacceso lo scontro. Causa della tensione è lo spostamento dell'ambasciata americana a Gerusalemme, deciso dal presidente Trump. Il che comporta il pieno riconoscimento di Gerusalemme come capitale d'Israele da parte degli Stati Uniti, a differenza della maggior parte degli Stati - tra cui gli europei - che sono certo in rapporti diplomatici con lo Stato ebraico, ma mantengono le ambasciate a Tel Aviv. Israele controlla Gerusalemme dal 1967, a seguito della Guerra dei sei giorni, e l'ha dichiarata «capitale eterna e indivisibile» dello Stato. Allo stesso tempo, la città è rivendicata dai palestinesi, almeno nella parte orientale, come propria capitale: è, per i musulmani, Al Quds, la Santa. La città, che ha registrato un notevole incremento di popolazione ebraica nell'ultimo mezzo secolo, rappresenta una questione quasi irrisolvibile nei negoziati tra israeliani e palestinesi. Il mutamento della posizione americana riapre la protesta palestinese che si è fatta sentire duramente, con manifestazioni e violenze. Due missili sono stati lanciati dalla Striscia di Gaza su Israele, che ha risposto con la sua aviazione. Sono cominciate proteste nel mondo arabo e musulmano, manifestazioni anche in Asia. La speranza, con l'avvicinamento tra Israele e l'Arabia Saudita del principe "riformatore" Bin Salman, era che si potesse trovare una qualche intesa tra israeliani e palestinesi. È stata diffusa anche la notizia di una visita segreta di Bin Salman in Israele per incontrare il premier Netanyahu. Oggi, l'Arabia Saudita e i Paesi arabi criticano il gesto americano e Israele. Il presidente turco Erdogan ha invitato i 57 Paesi dell'Organizzazione della cooperazione islamica a Istanbul il 13 dicembre per un vertice straordinario. La solidarietà ai palestinesi non sanerà però il conflitto tra sciiti e sunniti (che si era sovrapposto alla questione palestinese, finendo per oscurarla almeno in parte). Non si capisce la portata diplomatica del gesto di Trump, se non in chiave di politica interna, come l'adempimento di una promessa elettorale. In realtà il conflitto tra israeliani e palestinesi ha ormai settant'anni: questa situazione, prolungata e drammatica, è stata all'origine di tante sofferenze. Non la si può accettare come fatto normale e irresolubile. Papa Francesco, dopo aver ribadito la necessità di preservare lo status quo di Gerusalemme (città santa per ebrei, cristiani e musulmani con una vocazione peculiare alla pace), ha affermato: «Prevalgano saggezza e prudenza, per evitare di aggiungere nuovi elementi di tensione in un panorama mondiale già convulso e segnato da tanti e crudeli conflitti». È una visione saggia in un quadro così complesso: bisogna smorzare tutti gli elementi di tensione e spianare la via all'incontro.
Il commento di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana
Tra Israele e i palestinesi si è riacceso lo scontro. Causa della tensione è lo spostamento dell'ambasciata americana a Gerusalemme, deciso dal presidente Trump. Il che comporta il pieno riconoscimento di Gerusalemme come capitale d'Israele da parte degli Stati Uniti, a differenza della maggior parte degli Stati - tra cui gli europei - che sono certo in rapporti diplomatici con lo Stato ebraico, ma mantengono le ambasciate a Tel Aviv. Israele controlla Gerusalemme dal 1967, a seguito della Guerra dei sei giorni, e l'ha dichiarata «capitale eterna e indivisibile» dello Stato. Allo stesso tempo, la città è rivendicata dai palestinesi, almeno nella parte orientale, come propria capitale: è, per i musulmani, Al Quds, la Santa. La città, che ha registrato un notevole incremento di popolazione ebraica nell'ultimo mezzo secolo, rappresenta una questione quasi irrisolvibile nei negoziati tra israeliani e palestinesi. Il mutamento della posizione americana riapre la protesta palestinese che si è fatta sentire duramente, con manifestazioni e violenze. Due missili sono stati lanciati dalla Striscia di Gaza su Israele, che ha risposto con la sua aviazione. Sono cominciate proteste nel mondo arabo e musulmano, manifestazioni anche in Asia. La speranza, con l'avvicinamento tra Israele e l'Arabia Saudita del principe "riformatore" Bin Salman, era che si potesse trovare una qualche intesa tra israeliani e palestinesi. È stata diffusa anche la notizia di una visita segreta di Bin Salman in Israele per incontrare il premier Netanyahu. Oggi, l'Arabia Saudita e i Paesi arabi criticano il gesto americano e Israele. Il presidente turco Erdogan ha invitato i 57 Paesi dell'Organizzazione della cooperazione islamica a Istanbul il 13 dicembre per un vertice straordinario. La solidarietà ai palestinesi non sanerà però il conflitto tra sciiti e sunniti (che si era sovrapposto alla questione palestinese, finendo per oscurarla almeno in parte). Non si capisce la portata diplomatica del gesto di Trump, se non in chiave di politica interna, come l'adempimento di una promessa elettorale. In realtà il conflitto tra israeliani e palestinesi ha ormai settant'anni: questa situazione, prolungata e drammatica, è stata all'origine di tante sofferenze. Non la si può accettare come fatto normale e irresolubile. Papa Francesco, dopo aver ribadito la necessità di preservare lo status quo di Gerusalemme (città santa per ebrei, cristiani e musulmani con una vocazione peculiare alla pace), ha affermato: «Prevalgano saggezza e prudenza, per evitare di aggiungere nuovi elementi di tensione in un panorama mondiale già convulso e segnato da tanti e crudeli conflitti». È una visione saggia in un quadro così complesso: bisogna smorzare tutti gli elementi di tensione e spianare la via all'incontro.
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