Un Paese distrutto e umiliato, campo di battaglia per gli interessi delle grandi potenze
Che succede in Siria, dopo sei anni di guerra civile, che ha straziato un popolo di diciotto milioni e mezzo di persone? L'opinione pubblica, distratta, capisce a fatica quanto sta avvenendo in quel Paese. Il presidente del regime Assad, appoggiato dall'asse sciita (hezbollah libanesi e iraniani), ha mantenuto il controllo sulla Siria "utile": le grandi città sono nelle sue mani. Assad, qualche giorno fa, è volato in Russia, a Sochi, per incontrare il presidente Putin, che ha sempre sostenuto l'alleato siriano: si apre una road map che dovrebbe portare al dialogo e all'integrazione delle parti in lotta. È seguito un vertice fra i tre vincitori della partita: Putin, il presidente turco Erdogan e l'iraniano Rohani.
Cent'anni dopo gli accordi franco-britannici Sykes-Picot del 1917, che decisero l'assetto del Medio Oriente dopo la caduta dell'Impero ottomano, il gioco è passato nelle mani di Russia, Iran e Turchia. Trump, da lontano, sembra concordare. L'Europa è assente. L'Arabia Saudita incassa la sconfitta e riapre una conflittualità contro gli sciiti in Libano (Paese a rischio, con le dimissioni del premier Hariri rientrate dopo l`intervento di Macron). Si dovrebbe cominciare a trattare in un congresso formato da Governo, opposizioni, società civile, per costruire il futuro politico della Siria. È caduta la precondizione da parte dei combattenti anti-Assad: le dimissioni del presidente.
In Siria si combatte ancora, almeno in parte. Attorno a Idlib si concentrano gli oppositori con una prevalenza di estremisti; intorno a Damasco c`è un'area controllata dai radicali e la popolazione ha gravi problemi umanitari. A Sud, le opposizioni controllano alcuni territori. Resta forte l'esercito curdo, determinante nella sconfitta di Daesh: controlla Rojava, regione a Nord. Riuscirà ad affermare l'autonomia dopo tanta lotta o si piegherà agli interessi siriani? Erdogan è ostile all'autonomia dei curdi perché alleati del Pkk, il loro movimento armato in Turchia. Abbiamo visto come l'indipendenza del Kurdistan sia fallita in Iraq: che sarà di Rojava in Siria?
Una guerra per niente? Sì, una guerra per finire ancora con Assad al potere, colui che ha usato i gas contro il suo popolo. Una guerra nel cui contesto s'è affermato Daesh con il crudele Stato islamico (ora battuto). Soprattutto una guerra che ha ucciso 400 mila siriani e ne ha costretti cinque milioni a lasciare la patria. Una guerra per niente. Niente è più come prima in Siria, divenuta un campo di battaglia tra potenze e influenze, dove indifferenza e cinismo si sono intrecciati in modo tragico. Domenico Quirico, il giornalista sequestrato in Siria nel 2013, ha scritto un drammatico libro, Succede ad Aleppo, dal nome della città simbolo della Siria del vivere insieme, distrutta, umiliata, bombardata. Il popolo siriano è ormai segnato: «Tutti, giovani e vecchi, uomini e donne», egli scrive, «si trascinano dietro la paura come lo sporco attaccato alle scarpe».
Che succede in Siria, dopo sei anni di guerra civile, che ha straziato un popolo di diciotto milioni e mezzo di persone? L'opinione pubblica, distratta, capisce a fatica quanto sta avvenendo in quel Paese. Il presidente del regime Assad, appoggiato dall'asse sciita (hezbollah libanesi e iraniani), ha mantenuto il controllo sulla Siria "utile": le grandi città sono nelle sue mani. Assad, qualche giorno fa, è volato in Russia, a Sochi, per incontrare il presidente Putin, che ha sempre sostenuto l'alleato siriano: si apre una road map che dovrebbe portare al dialogo e all'integrazione delle parti in lotta. È seguito un vertice fra i tre vincitori della partita: Putin, il presidente turco Erdogan e l'iraniano Rohani.
Cent'anni dopo gli accordi franco-britannici Sykes-Picot del 1917, che decisero l'assetto del Medio Oriente dopo la caduta dell'Impero ottomano, il gioco è passato nelle mani di Russia, Iran e Turchia. Trump, da lontano, sembra concordare. L'Europa è assente. L'Arabia Saudita incassa la sconfitta e riapre una conflittualità contro gli sciiti in Libano (Paese a rischio, con le dimissioni del premier Hariri rientrate dopo l`intervento di Macron). Si dovrebbe cominciare a trattare in un congresso formato da Governo, opposizioni, società civile, per costruire il futuro politico della Siria. È caduta la precondizione da parte dei combattenti anti-Assad: le dimissioni del presidente.
In Siria si combatte ancora, almeno in parte. Attorno a Idlib si concentrano gli oppositori con una prevalenza di estremisti; intorno a Damasco c`è un'area controllata dai radicali e la popolazione ha gravi problemi umanitari. A Sud, le opposizioni controllano alcuni territori. Resta forte l'esercito curdo, determinante nella sconfitta di Daesh: controlla Rojava, regione a Nord. Riuscirà ad affermare l'autonomia dopo tanta lotta o si piegherà agli interessi siriani? Erdogan è ostile all'autonomia dei curdi perché alleati del Pkk, il loro movimento armato in Turchia. Abbiamo visto come l'indipendenza del Kurdistan sia fallita in Iraq: che sarà di Rojava in Siria?
Una guerra per niente? Sì, una guerra per finire ancora con Assad al potere, colui che ha usato i gas contro il suo popolo. Una guerra nel cui contesto s'è affermato Daesh con il crudele Stato islamico (ora battuto). Soprattutto una guerra che ha ucciso 400 mila siriani e ne ha costretti cinque milioni a lasciare la patria. Una guerra per niente. Niente è più come prima in Siria, divenuta un campo di battaglia tra potenze e influenze, dove indifferenza e cinismo si sono intrecciati in modo tragico. Domenico Quirico, il giornalista sequestrato in Siria nel 2013, ha scritto un drammatico libro, Succede ad Aleppo, dal nome della città simbolo della Siria del vivere insieme, distrutta, umiliata, bombardata. Il popolo siriano è ormai segnato: «Tutti, giovani e vecchi, uomini e donne», egli scrive, «si trascinano dietro la paura come lo sporco attaccato alle scarpe».
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