Le Nazioni Unite prevedono che gli
abitanti dell'Africa subsahariana raddoppieranno ancora da un
miliardo del 2017 a 2,2 miliardi nel 2050. Il numero di migranti
crescerebbe da 24 a 54 milioni. La grande sfida del continente è affrontare il prossimo boom demografico.
I migranti sono all'ordine del giorno nei dibattiti europei. Si parla di "soglia di tollerabilità" delle società europee e si discute su come fermarli. Ma sarebbe più onesto andare di là delle frontiere europee e chiedersi perché vengono in tanti, provando a guardare la realtà dei loro Paesi.
C'è un primo motivo (di cui abbiamo talvolta parlato): la guerra. Il caso più evidente è il terribile conflitto siriano che ha fatto uscire dai suoi confini circa cinque milioni di profughi, la gran parte rimasta in Medio Oriente. La guerra è madre di tante miserie. E anche i Paesi non confinanti, come quelli europei, ne pagano il prezzo. Questo dovrebbe rendere più sensibili a lavorare per la pace, perché è inaccettabile che una guerra, come quella in Siria, duri da sette anni.
Gran parte dei migranti, però, vengono dall'Africa (e anche dalle sue guerre). Sono giovani, figli di un continente che - al 70 per cento - è sotto i trent'anni. Vengono spesso da una classe medio-bassa, ma sono istruiti e non poveri. Ho recentemente avuto una conversazione diretta con alcuni ragazzi in Costa d'Avorio: dicevano che l'Europa nell'aspettativa di tanti è un mito, un Eldorado dalle grandi opportunità. Tra giovani si parla di amici partiti ma perduti nel deserto o in mare, perché l'emigrazione registra tanti caduti. Tuttavia spesso le storie d'insuccesso sono nascoste, mentre i successi (reali o presunti) vengono esaltati. In Tunisia migrare si dice in arabo haraga, che vuol dire bruciare: bruciare le frontiere... I giovani non hanno più fiducia nel loro Paese, come invece i loro genitori o nonni, che salutarono con entusiasmo l'indipendenza dal colonialismo.
Questa generazione, rispetto alle precedenti, si sente protagonista e non si rassegna all'orizzonte tradizionale. Molti vivono in città, tutti stanno in Rete con il mondo, sono informati e reagiscono, scrivendo la loro opinione. Tanti di loro, spesso senza lavoro, possono essere all'origine di proteste, delusi come sono dai Governi e dalla corruzione del potere, arrabbiati per le diseguaglianze sociali. Così le migrazioni sono una valvola di sfogo, utile al potere per evitare rivolte o manifestazioni. Se si vogliono regolare i flussi migratori, bisogna agire in Africa. Non è la prima volta che parliamo della responsabilità dei Governi africani per dare un futuro ai giovani nel loro Paese. È la grande sfida delle società africane: non essere matrigne per i loro figli. Non è solo il problema di fermare l'emigrazione verso l'Europa, ma di come affrontare il boom demografico dei prossimi decenni.
Ci sono storie di successo. Mi raccontava un affermato magistrato che 25 anni fa ebbe la possibilità di venire in Europa da studente: tutta la famiglia gli fece pressioni per non perdere l'occasione. Mi diceva: «Oggi ho un lavoro importante e la mia dignità nel mio Paese. Che sarei diventato emigrando?». Ci sarà ancora emigrazione in futuro, ma bisogna dare la possibilità di restare nella propria terra. È prima di tutto un bene per l'Africa. E poi ci vuole la pace.
Editoriale di Andrea Riccardi per Famiglia Cristiana del 13 maggio 2018
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I migranti sono all'ordine del giorno nei dibattiti europei. Si parla di "soglia di tollerabilità" delle società europee e si discute su come fermarli. Ma sarebbe più onesto andare di là delle frontiere europee e chiedersi perché vengono in tanti, provando a guardare la realtà dei loro Paesi.
C'è un primo motivo (di cui abbiamo talvolta parlato): la guerra. Il caso più evidente è il terribile conflitto siriano che ha fatto uscire dai suoi confini circa cinque milioni di profughi, la gran parte rimasta in Medio Oriente. La guerra è madre di tante miserie. E anche i Paesi non confinanti, come quelli europei, ne pagano il prezzo. Questo dovrebbe rendere più sensibili a lavorare per la pace, perché è inaccettabile che una guerra, come quella in Siria, duri da sette anni.
Gran parte dei migranti, però, vengono dall'Africa (e anche dalle sue guerre). Sono giovani, figli di un continente che - al 70 per cento - è sotto i trent'anni. Vengono spesso da una classe medio-bassa, ma sono istruiti e non poveri. Ho recentemente avuto una conversazione diretta con alcuni ragazzi in Costa d'Avorio: dicevano che l'Europa nell'aspettativa di tanti è un mito, un Eldorado dalle grandi opportunità. Tra giovani si parla di amici partiti ma perduti nel deserto o in mare, perché l'emigrazione registra tanti caduti. Tuttavia spesso le storie d'insuccesso sono nascoste, mentre i successi (reali o presunti) vengono esaltati. In Tunisia migrare si dice in arabo haraga, che vuol dire bruciare: bruciare le frontiere... I giovani non hanno più fiducia nel loro Paese, come invece i loro genitori o nonni, che salutarono con entusiasmo l'indipendenza dal colonialismo.
Questa generazione, rispetto alle precedenti, si sente protagonista e non si rassegna all'orizzonte tradizionale. Molti vivono in città, tutti stanno in Rete con il mondo, sono informati e reagiscono, scrivendo la loro opinione. Tanti di loro, spesso senza lavoro, possono essere all'origine di proteste, delusi come sono dai Governi e dalla corruzione del potere, arrabbiati per le diseguaglianze sociali. Così le migrazioni sono una valvola di sfogo, utile al potere per evitare rivolte o manifestazioni. Se si vogliono regolare i flussi migratori, bisogna agire in Africa. Non è la prima volta che parliamo della responsabilità dei Governi africani per dare un futuro ai giovani nel loro Paese. È la grande sfida delle società africane: non essere matrigne per i loro figli. Non è solo il problema di fermare l'emigrazione verso l'Europa, ma di come affrontare il boom demografico dei prossimi decenni.
Ci sono storie di successo. Mi raccontava un affermato magistrato che 25 anni fa ebbe la possibilità di venire in Europa da studente: tutta la famiglia gli fece pressioni per non perdere l'occasione. Mi diceva: «Oggi ho un lavoro importante e la mia dignità nel mio Paese. Che sarei diventato emigrando?». Ci sarà ancora emigrazione in futuro, ma bisogna dare la possibilità di restare nella propria terra. È prima di tutto un bene per l'Africa. E poi ci vuole la pace.
Editoriale di Andrea Riccardi per Famiglia Cristiana del 13 maggio 2018
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