Un articolo di Federica Gieri Samoggia apparso su Avvenire di Bologna, il 27 maggio 2018
E' stato presentato giovedì pomeriggio nella suggestiva cornice della Cappella Farnese a Palazzo d'Accursio il libro del fondatore della Comunità di Sant'Egidio, Andrea Riccardi, «Tutto può cambiare», edito da San Paolo. All'incontro sono intervenuti l'arcivescovo Matteo Zuppi, Ivano Dionigi, Romano Prodi, e Stefano Zamagni. «In quelle pagine - osserva Riccardi - ho voluto cogliere le radici nel passato e guardare in avanti. Il titolo è di Giovanni Paolo II. Era molto vecchio, malandato e disse: "Tutto può cambiare: dipende anche da te". Ecco credo che non dobbiamo rinunciare a quella leva fondamentale per cambiare il mondo che è cambiare noi stessi e agire personalmente». Con speranza. Un libro che l'Arcivescovo confida di aver letto «con evidente partecipazione» poiché quell'esperienza «mi ha coinvolto e mi coinvolge». Tutto può cambiare, esordisce Zuppi, «è un'affermazione che racchiude già la prospettiva di Riccardi e della Comunità. Tutto: non è un'ambizione personale, un conato di onnipotenza o una specie di slancio utopico». Come poteva esserci in quel 1968 quando la Comunità di Sant'Egidio muoveva i primi passi. «In quegli anni - ricorda l'Arcivescovo - c`è stata un'esplosione di tante esperienze, molte con vita brevissima». Anni in cui lo slancio dell'«impossibile per essere realisti, era una delle chiavi: chiedere tutto era il vero modo con cui si entrava nella realtà». Una grande energia «che si è esaurita rapidamente». Sant'Egidio no, ha continuato il suo cammino perché «una delle cose più evidenti» che lo hanno caratterizzato era «combattere il vivere per sé. La grande ricchezza dell'esperienza di Riccardi è di aver saputo mettere insieme tanti pezzi diversi, di saperli far vivere insieme in una sapienza che non è già scritta, ma che è accompagnata da tanti incontri». E dove i «poveri sono stati, fin dall'inizio, la chiave per non diventare un gruppo che viveva per se stesso». Un uomo fa la differenza e può cambiare con «l'ambizione di risolvere e non con presunzione dilettantesca o cinico realismo dell'impotenza». Senza dubbio, Riccardi, «per certi versi, ripropone un'utopia, ma è una ricerca con tanto realismo». «Quel millenarismo qui è diventato convinzione che tutto possa cambiare. Quel può dipende anche da noi: tutti possono cambiare, non c'è un limite». Del resto lo stesso papa Wojtyla, in un incontro con la Comunità, disse «l'unica frontiera che vi siete posti è quella dell'amore». Una comunità che contiene «tante antinomie: sogno e grande realismo» che chiamano uno «sforzo personale» tanto che Riccardi «continua a imparare, a capire e a trovare, negli incontri, il senso di un cammino lungo cui quel sogno si è dipanato». E tra le antinomie si ravvisa anche «il particolare» letto e vissuto «sempre in un orizzonte universale», ma anche radicalità e una «fraternità ben lontana dalle derive della new age; soggettivismo e oggettivo, il mio e il noi, il privato e il pubblico; la preghiera e la laicità perché per pregare uno deve essere laico». La Comunità di Sant'Egidio «ama le istituzioni proprio perché non è istituzionale. Nasce fuori da qualunque realtà parrocchiale, istituzionale; sapendo parlare l'ecclesialese senza diventare ecclesiastica. Laici, ma non clericali». Una «teologia laica: laicità nell'azione e ispirazione religiosa; misticismo e realismo». Insomma «un cristianesimo moderno, non mondanizzato né tributario alla mentalità corrente del politically correct, ma che sa riconoscere i tanti motivi di vicinanza all'uomo così com`è».
E' stato presentato giovedì pomeriggio nella suggestiva cornice della Cappella Farnese a Palazzo d'Accursio il libro del fondatore della Comunità di Sant'Egidio, Andrea Riccardi, «Tutto può cambiare», edito da San Paolo. All'incontro sono intervenuti l'arcivescovo Matteo Zuppi, Ivano Dionigi, Romano Prodi, e Stefano Zamagni. «In quelle pagine - osserva Riccardi - ho voluto cogliere le radici nel passato e guardare in avanti. Il titolo è di Giovanni Paolo II. Era molto vecchio, malandato e disse: "Tutto può cambiare: dipende anche da te". Ecco credo che non dobbiamo rinunciare a quella leva fondamentale per cambiare il mondo che è cambiare noi stessi e agire personalmente». Con speranza. Un libro che l'Arcivescovo confida di aver letto «con evidente partecipazione» poiché quell'esperienza «mi ha coinvolto e mi coinvolge». Tutto può cambiare, esordisce Zuppi, «è un'affermazione che racchiude già la prospettiva di Riccardi e della Comunità. Tutto: non è un'ambizione personale, un conato di onnipotenza o una specie di slancio utopico». Come poteva esserci in quel 1968 quando la Comunità di Sant'Egidio muoveva i primi passi. «In quegli anni - ricorda l'Arcivescovo - c`è stata un'esplosione di tante esperienze, molte con vita brevissima». Anni in cui lo slancio dell'«impossibile per essere realisti, era una delle chiavi: chiedere tutto era il vero modo con cui si entrava nella realtà». Una grande energia «che si è esaurita rapidamente». Sant'Egidio no, ha continuato il suo cammino perché «una delle cose più evidenti» che lo hanno caratterizzato era «combattere il vivere per sé. La grande ricchezza dell'esperienza di Riccardi è di aver saputo mettere insieme tanti pezzi diversi, di saperli far vivere insieme in una sapienza che non è già scritta, ma che è accompagnata da tanti incontri». E dove i «poveri sono stati, fin dall'inizio, la chiave per non diventare un gruppo che viveva per se stesso». Un uomo fa la differenza e può cambiare con «l'ambizione di risolvere e non con presunzione dilettantesca o cinico realismo dell'impotenza». Senza dubbio, Riccardi, «per certi versi, ripropone un'utopia, ma è una ricerca con tanto realismo». «Quel millenarismo qui è diventato convinzione che tutto possa cambiare. Quel può dipende anche da noi: tutti possono cambiare, non c'è un limite». Del resto lo stesso papa Wojtyla, in un incontro con la Comunità, disse «l'unica frontiera che vi siete posti è quella dell'amore». Una comunità che contiene «tante antinomie: sogno e grande realismo» che chiamano uno «sforzo personale» tanto che Riccardi «continua a imparare, a capire e a trovare, negli incontri, il senso di un cammino lungo cui quel sogno si è dipanato». E tra le antinomie si ravvisa anche «il particolare» letto e vissuto «sempre in un orizzonte universale», ma anche radicalità e una «fraternità ben lontana dalle derive della new age; soggettivismo e oggettivo, il mio e il noi, il privato e il pubblico; la preghiera e la laicità perché per pregare uno deve essere laico». La Comunità di Sant'Egidio «ama le istituzioni proprio perché non è istituzionale. Nasce fuori da qualunque realtà parrocchiale, istituzionale; sapendo parlare l'ecclesialese senza diventare ecclesiastica. Laici, ma non clericali». Una «teologia laica: laicità nell'azione e ispirazione religiosa; misticismo e realismo». Insomma «un cristianesimo moderno, non mondanizzato né tributario alla mentalità corrente del politically correct, ma che sa riconoscere i tanti motivi di vicinanza all'uomo così com`è».
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