In Venezuela non c'è guerra, ma la vita è impossibile: tre milioni di cittadini hanno abbandonato il paese. Le elezioni hanno ratificato il distacco del partito al potere dalla popolazione stremata.
Il Venezuela vive una situazione drammatica. Il 20 maggio ci sono state le elezioni presidenziali, cui non ha partecipato l'opposizione, denunciando mancanza di trasparenza. Ufficialmente è stato riconfermato il presidente Maduro, delfino del defunto presidente Chavez. Le elezioni ratificano ormai il distacco profondo del partito al potere dalla maggioranza della popolazione, astenutasi dal voto. La situazione economico-sociale è catastrofica, quasi al livello dello Zimbabwe di Mugabe, ma con una grande differenza: il Venezuela possiede la maggiore riserva petrolifera del mondo.
Come si è arrivati a questo punto? Tre milioni di venezuelani sono fuggiti all'estero, circa il 1.0% della popolazione: un esodo paragonabile solo alla crisi siriana. In Venezuela non c'è guerra, tuttavia la vita è impossibile. La situazione economica è paragonabile alla Germania di Weimar durante l'iperinflazione. Dal 2004, quando l'allora presidente Chavez iniziò la sua politica economica, si è verificato un mix mortale: attacchi agli investitori esteri, nazionalizzazioni forzate, indebitamento pubblico con i futuri profitti petroliferi a garanzia e nascita di un'economia gestita dalla casta militare. L'inflazione incontrollata ha impoverito la classe media e svuotato le casse dello Stato. Il crollo dei prezzi petroliferi ha dato il colpo di grazia. Il premio Nobel Mario Vargas Llosa scriveva nel 1999, dopo l'elezione di Chavez, un articolo titolato "Il suicidio di una nazione".
I fatti gli hanno dato ragione. Maduro sostiene che la disastrosa situazione economica sia il risultato dell'ostilità degli Stati Uniti e dei suoi alleati, che certamente non hanno aiutato. Ma la narrativa del complotto internazionale funziona solo ai fini della propaganda: un mix di nazionalismo, cristianesimo, santerìa e marxismo. Si vede come l'ideologia rivoluzionaria del regime sia al servizio di un gruppo di potere, mentre la gente soffre. Per consolidare il consenso, il regime organizza reti di distribuzione gratuita di alimenti (ormai introvabili) solo per chi ha la tessera del partito. L'isolamento internazionale porta la presidenza a cercare appoggi vari: dalla Russia di Putin alla Cina e a pericolosi partner mediorientali. Il regime osserva con indifferenza la fuoriuscita dei cittadini, ma questo rappresenta il fallimento dello Stato. La Conferenza episcopale venezuelana aveva chiesto un rinvio delle elezioni presidenziali «per evitare una catastrofe umanitaria senza precedenti» e non cadere in una «spirale di conflitto». Aveva incoraggiato il dialogo tra presidenza e opposizione, ma i risultati sono stati deludenti. Intanto il Venezuela muore.
Il Venezuela vive una situazione drammatica. Il 20 maggio ci sono state le elezioni presidenziali, cui non ha partecipato l'opposizione, denunciando mancanza di trasparenza. Ufficialmente è stato riconfermato il presidente Maduro, delfino del defunto presidente Chavez. Le elezioni ratificano ormai il distacco profondo del partito al potere dalla maggioranza della popolazione, astenutasi dal voto. La situazione economico-sociale è catastrofica, quasi al livello dello Zimbabwe di Mugabe, ma con una grande differenza: il Venezuela possiede la maggiore riserva petrolifera del mondo.
Come si è arrivati a questo punto? Tre milioni di venezuelani sono fuggiti all'estero, circa il 1.0% della popolazione: un esodo paragonabile solo alla crisi siriana. In Venezuela non c'è guerra, tuttavia la vita è impossibile. La situazione economica è paragonabile alla Germania di Weimar durante l'iperinflazione. Dal 2004, quando l'allora presidente Chavez iniziò la sua politica economica, si è verificato un mix mortale: attacchi agli investitori esteri, nazionalizzazioni forzate, indebitamento pubblico con i futuri profitti petroliferi a garanzia e nascita di un'economia gestita dalla casta militare. L'inflazione incontrollata ha impoverito la classe media e svuotato le casse dello Stato. Il crollo dei prezzi petroliferi ha dato il colpo di grazia. Il premio Nobel Mario Vargas Llosa scriveva nel 1999, dopo l'elezione di Chavez, un articolo titolato "Il suicidio di una nazione".
I fatti gli hanno dato ragione. Maduro sostiene che la disastrosa situazione economica sia il risultato dell'ostilità degli Stati Uniti e dei suoi alleati, che certamente non hanno aiutato. Ma la narrativa del complotto internazionale funziona solo ai fini della propaganda: un mix di nazionalismo, cristianesimo, santerìa e marxismo. Si vede come l'ideologia rivoluzionaria del regime sia al servizio di un gruppo di potere, mentre la gente soffre. Per consolidare il consenso, il regime organizza reti di distribuzione gratuita di alimenti (ormai introvabili) solo per chi ha la tessera del partito. L'isolamento internazionale porta la presidenza a cercare appoggi vari: dalla Russia di Putin alla Cina e a pericolosi partner mediorientali. Il regime osserva con indifferenza la fuoriuscita dei cittadini, ma questo rappresenta il fallimento dello Stato. La Conferenza episcopale venezuelana aveva chiesto un rinvio delle elezioni presidenziali «per evitare una catastrofe umanitaria senza precedenti» e non cadere in una «spirale di conflitto». Aveva incoraggiato il dialogo tra presidenza e opposizione, ma i risultati sono stati deludenti. Intanto il Venezuela muore.
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