La missione della Chiesa,
oggi, è "rammendare" il tessuto sociale lacerato.
Il Papa e la Cei lavorano affinché le paure non sfocino in rabbia, ma diventino energia
La Chiesa italiana è un punto di riferimento nel Paese. Lo è stata nel Novecento quando, durante l'occupazione tedesca, fu asilo e sostegno per tanti nella crisi dello Stato. Nel dopoguerra, dal mondo cattolico è nata la DC, il pilastro della rinascita italiana e della profonda trasformazione della società. Negli anni Novanta, Giovanni Paolo II è stato un punto di riferimento con la preghiera per l'Italia quando viveva una crisi profonda. Oggi, di fronte ai cambiamenti radicali della società italiana, qual è il sentire della Chiesa? Alcuni parlano oggi di "irrilevanza" della Chiesa. Alcuni "passaggi" l'avrebbero messa in rilievo. Un anno fa, la classe politica lasciò cadere la legge sulla cittadinanza per i bambini nati in Italia, figli d'immigrati, cui la Chiesa teneva tanto. E poi le votazioni hanno rivelato un elettorato ansioso sui migranti e critico verso ogni apertura. Non è questo il sentire del Papa e della Chiesa.
C'è un divorzio tra la visione "buonista" della Chiesa e gli italiani che si sentono assediati dalla globalizzazione? Una distanza c'è e non solo su questi temi. Peraltro fisiologica in ogni età della storia. La Chiesa propone una lettura del nostro tempo, mentre comunica il Vangelo; non impone un'analisi o una visione politica. Certo la distanza può allargarsi e divenire un divorzio, che porta alla contraddizione tra il Vangelo e un modo di vivere e giudicare. Questo si deve anche all'affievolirsi delle culture popolari. Per questo sono preziosi strumenti, come la stampa cattolica e mi sia concesso - riviste come Famiglia Cristiana: perché aiutano a leggere la realtà, creando comunità di sentimenti e di pensieri.
Fede e preghiera non sono disincarnate: vivono nella storia. Senza gridare, la Chiesa oggi sente il bisogno di "rammendare" - è parola chiave per il cardinale Bassetti, presidente della Cei - il tessuto sociale lacerato: questo mondo di individui soli, talvolta conflittuali, preda di emozioni contrastanti. Un popolo si va sfaldando nelle sue forme comunitarie tradizionali, a cominciare dalla famiglia. La Chiesa vuole rafforzare le comunità. Intende dialogare con le paure degli italiani, che non vanno demonizzate, ma possono trovare sbocco non nella rabbia, ma in un'energia costruttiva. Questo "rammendo" è in felice sintonia con quei tanti cristiani che, in tempi di crisi, lavorano per gli altri. Siamo rimasti troppo bloccati nelle strutture assistenziali (che rischiano di divenire istituzioni). Il Papa ha chiesto di uscire.
La Chiesa sta ritrovando il gusto "materno" di riunire, collegare, aiutare a guardare al futuro con più speranza, perché lo si fa assieme agli altri. È un inizio, si tratta però di una visione per tutti: realizzare, dentro le pieghe della società, "all'italiana", quella che Francesco chiama la "Chiesa di popolo".
Il Papa e la Cei lavorano affinché le paure non sfocino in rabbia, ma diventino energia
La Chiesa italiana è un punto di riferimento nel Paese. Lo è stata nel Novecento quando, durante l'occupazione tedesca, fu asilo e sostegno per tanti nella crisi dello Stato. Nel dopoguerra, dal mondo cattolico è nata la DC, il pilastro della rinascita italiana e della profonda trasformazione della società. Negli anni Novanta, Giovanni Paolo II è stato un punto di riferimento con la preghiera per l'Italia quando viveva una crisi profonda. Oggi, di fronte ai cambiamenti radicali della società italiana, qual è il sentire della Chiesa? Alcuni parlano oggi di "irrilevanza" della Chiesa. Alcuni "passaggi" l'avrebbero messa in rilievo. Un anno fa, la classe politica lasciò cadere la legge sulla cittadinanza per i bambini nati in Italia, figli d'immigrati, cui la Chiesa teneva tanto. E poi le votazioni hanno rivelato un elettorato ansioso sui migranti e critico verso ogni apertura. Non è questo il sentire del Papa e della Chiesa.
C'è un divorzio tra la visione "buonista" della Chiesa e gli italiani che si sentono assediati dalla globalizzazione? Una distanza c'è e non solo su questi temi. Peraltro fisiologica in ogni età della storia. La Chiesa propone una lettura del nostro tempo, mentre comunica il Vangelo; non impone un'analisi o una visione politica. Certo la distanza può allargarsi e divenire un divorzio, che porta alla contraddizione tra il Vangelo e un modo di vivere e giudicare. Questo si deve anche all'affievolirsi delle culture popolari. Per questo sono preziosi strumenti, come la stampa cattolica e mi sia concesso - riviste come Famiglia Cristiana: perché aiutano a leggere la realtà, creando comunità di sentimenti e di pensieri.
Fede e preghiera non sono disincarnate: vivono nella storia. Senza gridare, la Chiesa oggi sente il bisogno di "rammendare" - è parola chiave per il cardinale Bassetti, presidente della Cei - il tessuto sociale lacerato: questo mondo di individui soli, talvolta conflittuali, preda di emozioni contrastanti. Un popolo si va sfaldando nelle sue forme comunitarie tradizionali, a cominciare dalla famiglia. La Chiesa vuole rafforzare le comunità. Intende dialogare con le paure degli italiani, che non vanno demonizzate, ma possono trovare sbocco non nella rabbia, ma in un'energia costruttiva. Questo "rammendo" è in felice sintonia con quei tanti cristiani che, in tempi di crisi, lavorano per gli altri. Siamo rimasti troppo bloccati nelle strutture assistenziali (che rischiano di divenire istituzioni). Il Papa ha chiesto di uscire.
La Chiesa sta ritrovando il gusto "materno" di riunire, collegare, aiutare a guardare al futuro con più speranza, perché lo si fa assieme agli altri. È un inizio, si tratta però di una visione per tutti: realizzare, dentro le pieghe della società, "all'italiana", quella che Francesco chiama la "Chiesa di popolo".
Commenti
Posta un commento