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Martiri d'Algeria, una lezione di speranza

martiri d'algeria. andrea riccardi, il blog
La beatificazione dei 19 martiri d'Algeria ha avuto luogo a Orano, nel Santuario NotreDame di Santa Cruz, l'8 dicembre, presieduta dal cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Tanti i musulmani intervenuti.

Fedeltà al Vangelo, dialogo (e collaborazione) con l'islam, mitezza: testimonianze attuali

L'8 dicembre 2018 sono stati beatificati, a Orano, diciannove martiri, caduti tra il 1994 e il 1996 nella guerra che ha dilaniato l'Algeria sotto i colpi di un terribile terrorismo islamista ma anche d'una pesante repressione militare. Tra i martiri ci sono i sette trappisti del monastero di Notre Dame de l'Atlas, rapiti il 27 marzo 1996 e i cui resti, solo le teste, sono stati trovati il 21 maggio dello stesso anno. Ho conosciuto il priore della comunità, frère Christian de Chergé, con cui ho parlato varie volte, ho mangiato con lui, quando veniva a Roma e durante un incontro interreligioso nello spirito di Assisi, a Bruxelles nel 1991.
Frère Christian era un uomo mite, attento, sorridente, sempre interessato all'incontro con l'altro. Posso dire che c'era un vincolo spirituale e amicale con la Comunità di Sant'Egidio. Un musulmano di Medea, la città vicina al monastero, mi ha raccontato del fascino spirituale esercitato dal priore anche in ambiente islamico. Aveva con lui un rapporto profondo. Si recava spesso al monastero, dove percepiva un senso di pace. Mi ha spiegato come l'incontro con lui l'avesse liberato dai pregiudizi verso il cristianesimo. Del resto frère Christian era l'anima del gruppo di preghiera e dialogo tra cristiani e musulmani, Ribàt es-Salàm (Vincolo di pace), che si riuniva nel monastero e a Medea. Nel contatto personale, si vedeva subito come Christian fosse un uomo di pace, consapevole dei grandi problemi dell`Algeria e delle difficoltà della vita nel mondo islamico. La scelta per la pace era radicata in una coscienza evangelica, nutrita dalle Scritture. Il suo era un linguaggio di pace, mai violento anche nei confronti di chi gli era ostile. Diceva nel 1983: «Creare ponti e distruggere barriere: preparare qualcosa di nuovo e crederlo possibile... acconsentire al fatto che la nostra sola presenza [il monastero in ambiente musulmano] abbia senso e valore di riconciliazione; percepire la via di riconciliazione verso l'islam». E nel 1994, quando la situazione si faceva minacciosa, affermava: «Le beatitudini sono innanzitutto il Vangelo del vivere insieme». È per il Vangelo che i monaci sono rimasti nel monastero, nonostante le pressioni delle istituzioni che lo consideravano un luogo non sicuro. Quasi un mese è passato dal loro rapimento al ritrovamento dei resti. In quel periodo, anche alcuni musulmani di Medea si sono dati da fare, tramite contatti, per salvarli. La storia del rapimento e della morte dei monaci resta ancora tenebrosa; non è chiaro quanto all'opera degli islamisti si siano associati attori di una strategia della tensione. I monaci, pur consci dei rischi, avevano scelto di non rinunciare a vivere insieme con i musulmani, come uomini di preghiera e di amicizia. Il priore ha lasciato nel testamento parole di perdono per l'eventuale carnefice, «amico dell'ultimo istante che non saprai che cosa stai facendo». Il beato Christian e i compagni, martiri contemporanei, sono testimoni della ricerca della pace nel vivere insieme con chi è differente. E oggi c'è bisogno di questa testimonianza mite e coraggiosa.

Una lettera di frère Christian è custodita tra le memoria dei Nuovi Martiri nella basilica romana di San Bartolomeo all'Isola

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