Si riaccende un conflitto storico che rimette in discussione la pacificazione tra i due giganti asiatici
India e Pakistan sono in guerra? Si tratta per ora di un conflitto limitato al solo Kashmir, la regione contesa tra i due Stati fin dal 1947, dal momento della drammatica partition dell'impero britannico tra l'India degli indú e il Pakistan dei musulmani, che costò più di un milione di morti e quattordici milioni di sfollati. Gandhi era contrario a questa divisione, perché voleva l'India come terra di convivenza tra Islam e induismo con le altre religioni. Così non è stato, perché sono nati due Stati a partire dall'identità religiosa (in particolare il Pakistan, che conosce una forte impronta musulmana). L'India, pur essendo in grande maggioranza indù, è stata a suo modo una democrazia laica. Non sono mancati conflitti interreligiosi nella storia dell'India indipendente. E poi questo Paese, nonostante l'emigrazione di tanti musulmani in Pakistan nel 1947, ospita una delle più grandi comunità musulmane del mondo, con 172 milioni di fedeli. Dal 2014 è al governo il primo ministro Narendra Modi del BJP, un partito nazionalista e induista, che proclama la supremazia indù nel Paese.
Dietro le tensioni alla frontiera con il Pakistan, molti leggono un disegno di rafforzamento di Modi in vista delle prossime elezioni politiche di maggio.
Il conflitto sul Kashmir è preoccupante, anche perché coinvolge due potenze dotate dell'arma atomica. Ed è tutt'altro che nuovo, ma dura da settant'anni. Per ben tre volte, sul terreno, si sono scontrate le forze armate indiane e quelle pakistane. Il conflitto è continuato in modo strisciante attraverso i movimenti di guerriglia. È stato proprio un grave attentato ai militari indiani che ha spinto il primo ministro Modi a ordinare il bombardamento dei campi di addestramento di un movimento terrorista in territorio pakistano. Da qui il riaccendersi degli scontri, che trova il governo pakistano pronto a mostrare la sua forza militare. Che significato ha un combattimento, quando il Kashmir è diviso da settant'anni fra India (due terzi) e Pakistan (un terzo)? E quali esiti concreti può dare se non rimettere in discussione il processo di pacificazione tra i due giganti asiatici? Indubbiamente è una vecchia storia conflittuale che continua. Ma c'è qualcosa di nuovo che preoccupa: si utilizza con disinvoltura lo strumento della guerra tra due Paesi che, per il loro statuto di potenze atomiche, dovrebbero avere comportamenti ispirati alla prudenza. Ci si augura che sia un episodio circoscritto e che siano evitati allargamenti del conflitto. Tuttavia potrebbe essere un sintomo preoccupante di rivalutazione della guerra in una stagione di disordine mondiale. Certo siamo ben lontani da quella cultura di ripudio della guerra che caratterizzò le generazioni dopo la Seconda guerra mondiale.
India e Pakistan sono in guerra? Si tratta per ora di un conflitto limitato al solo Kashmir, la regione contesa tra i due Stati fin dal 1947, dal momento della drammatica partition dell'impero britannico tra l'India degli indú e il Pakistan dei musulmani, che costò più di un milione di morti e quattordici milioni di sfollati. Gandhi era contrario a questa divisione, perché voleva l'India come terra di convivenza tra Islam e induismo con le altre religioni. Così non è stato, perché sono nati due Stati a partire dall'identità religiosa (in particolare il Pakistan, che conosce una forte impronta musulmana). L'India, pur essendo in grande maggioranza indù, è stata a suo modo una democrazia laica. Non sono mancati conflitti interreligiosi nella storia dell'India indipendente. E poi questo Paese, nonostante l'emigrazione di tanti musulmani in Pakistan nel 1947, ospita una delle più grandi comunità musulmane del mondo, con 172 milioni di fedeli. Dal 2014 è al governo il primo ministro Narendra Modi del BJP, un partito nazionalista e induista, che proclama la supremazia indù nel Paese.
Dietro le tensioni alla frontiera con il Pakistan, molti leggono un disegno di rafforzamento di Modi in vista delle prossime elezioni politiche di maggio.
Il conflitto sul Kashmir è preoccupante, anche perché coinvolge due potenze dotate dell'arma atomica. Ed è tutt'altro che nuovo, ma dura da settant'anni. Per ben tre volte, sul terreno, si sono scontrate le forze armate indiane e quelle pakistane. Il conflitto è continuato in modo strisciante attraverso i movimenti di guerriglia. È stato proprio un grave attentato ai militari indiani che ha spinto il primo ministro Modi a ordinare il bombardamento dei campi di addestramento di un movimento terrorista in territorio pakistano. Da qui il riaccendersi degli scontri, che trova il governo pakistano pronto a mostrare la sua forza militare. Che significato ha un combattimento, quando il Kashmir è diviso da settant'anni fra India (due terzi) e Pakistan (un terzo)? E quali esiti concreti può dare se non rimettere in discussione il processo di pacificazione tra i due giganti asiatici? Indubbiamente è una vecchia storia conflittuale che continua. Ma c'è qualcosa di nuovo che preoccupa: si utilizza con disinvoltura lo strumento della guerra tra due Paesi che, per il loro statuto di potenze atomiche, dovrebbero avere comportamenti ispirati alla prudenza. Ci si augura che sia un episodio circoscritto e che siano evitati allargamenti del conflitto. Tuttavia potrebbe essere un sintomo preoccupante di rivalutazione della guerra in una stagione di disordine mondiale. Certo siamo ben lontani da quella cultura di ripudio della guerra che caratterizzò le generazioni dopo la Seconda guerra mondiale.
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