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Cristiani che rischiano per partecipare alla liturgia della domenica: quella violenza - e la loro testimonianza - provocano la nostra fede

La chiesa di St Sebastian devastata dopo le esplosioni del 21 aprile a Negombo, a nord di Colombo.

I morti dello Sri Lanka ci ricordano che il vero credente non toglie la vita agli altri ma la dona. 
Oltre 250 morti nella terribile Pasqua in Sri Lanka. Ben 45 bambini. Molti caduti stavano in preghiera in tre chiese cattoliche. Altri sono turisti, venuti nell'isola per le vacanze di Pasqua.
Il terrorismo (islamico e con reti internazionali) vuole colpire l'economia dello Sri Lanka che, dopo una lunga e sanguinosa guerra civile, si sta riprendendo anche grazie al turismo. Vuole mostrare la sua capacità di colpire e terrorizzare, svelando la debolezza dello Stato. È una follia che si ripete, purtroppo, su vari scenari: non c'è solo una regia internazionale, ma anche una mentalità intossicata che accomuna gente folle di vari Paesi. Un'internazionale del male.
È una tragica follia: donne e uomini che si fanno esplodere o fanno esplodere i loro figli. I volti dei bambini non li inteneriscono. La visione di gente in preghiera non li ferma. È l'idolatria fanatica della violenza (in nome di Dio e dell'odio) che esalta la capacità di fare il male, tanto male. Ma a che fine? Vediamo le rovine di Daesh in Siria e Iraq: fosse comuni, terrore, rapiti che non tornano a casa, città distrutte... I cattolici srilankesi sono le vittime designate della strage di Pasqua. Ho più volte sottolineato come i cristiani, ai nostri giorni, rischiano tanto per partecipare alla liturgia domenicale in varie parti del mondo. Gli antichi martiri di Abitene (inizio del IV secolo) dicevano: «Senza il giorno del Signore non possiamo essere». L'autore degli atti dei martiri sottolinea: «È il giorno del Signore che costituisce il cristiano».
I martiri della Domenica mostrano il valore dell'Eucarestia a cristiani tiepidi e pigri. Più volte, papa Francesco ha insistito sul fatto che oggi i cristiani sono spesso oggetto di violenza. È l'intuizione di Giovanni Paolo II che cominciò a parlare dei nostri giorni come tempo di nuovi martiri.
 Trovo spiacevole - come è stato fatto dopo l'attentato - giudicare gli interventi del Papa sui cristiani dello Sri Lanka per la loro minore o maggiore lunghezza o se vi si trova o meno una condanna esplicita dell'islamismo terrorista. Proprio Francesco ha voluto visitare lo Sri Lanka nel 2015, responsabilmente consapevole della delicata situazione dei cattolici del Paese. Non credo che i cattolici srilankesi, così legati al Pontefice, condividano un atteggiamento critico verso di lui. Non si è cristiani perché si maledicono con veemenza gli attentatori (che vanno assolutamente condannati). In realtà nel martirio c'è un messaggio rivelatore della realtà del cristianesimo oggi. Anche per i cristiani del nostro Paese. Un messaggio impegnativo che chiama a uscire dal vittimismo e dall'egocentrismo; che coinvolge in una comunione larga e solidale con chi soffre; che spinge a essere testimoni della fede dove si vive e nel mondo globale. Non possiamo rinunciare a vivere il Vangelo di Pasqua. Non lo fanno i cristiani che soffrono. Non possiamo farlo noi. Essere "fratelli" dei martiri chiede una fede vissuta e una vita nell'amore. Ma è anche motivo di incoraggiamento. Il cristiano non è qualcuno che toglie la vita agli altri, ma qualcuno che la dona. Dalla Pasqua, viene una corale risposta di vita a quelli che uccidono. 

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