Jean Vanier è nato a Ginevra da genitori canadesi il 10 settembre 1928 ed è morto a Parigi il 7 maggio scorso. Ha fondato L'Arche (L'Arca), ha ispirato il movimento Foi et Lumière (Fede e Luce in Italia), è stato membro del Pontificio Consiglio per i Laici.
È STATO UN INSTANCABILE CERCATORE DI GESÙ. HA VISSUTO AL FIANCO DEI DEBOLI, SOPRATTUTTO DI CHI HA DISABILITÀ MENTALI, DANDO VITA ALL'ARCA, NEL 1964, E AL MOVIMENTO FEDE E LUCE, NEL 1971
Il ricordo di Andrea Riccardi
Jean Vanier ci ha lasciati. Aveva abbandonato da tempo le responsabilità e i viaggi, ma non aveva dimesso quello che era stato il cuore della sua vita: la ricerca di Dio e l'incontro con gli uomini e le donne. Quando, lo scorso luglio, l'ho visitato nella sua piccola casa a Trosly, nel Nord della Francia, aveva tra le mani un libro su Gesù di José Antonio Pagola, un biblista spagnolo. Lo leggeva
e lo rileggeva, perché gli sembrava gettasse una luce particolare sulla figura di Cristo. Sì, la sua vita era stata quella di un cercatore di Gesù, tentato in alcuni momenti dalla vita eremitica. Mai soddisfatto di formule o di modelli, sempre in ricerca. La ricerca era la sua povertà. Così, fin da giovane, aveva cercato una vita degna e conforme allo spirito di Gesù. Aveva respirato nella sua famiglia il senso di Dio e della responsabilità.
Suo padre era un militare (gravemente ferito nella Prima guerra mondiale) che aveva percorso una carriera di servizio allo Stato ed era divenuto ambasciatore a Parigi e poi governatore generale del Canada (la figura che rappresenta il sovrano britannico e fa le funzioni del capo dello Stato). La madre era una donna di grande religiosità che, alla fine della sua vita, avrebbe raggiunto Jean all'Arche, divenendo per tutti, anche per i disabili, un riferimento materno. Era nato nel 1928 e, giovanissimo, era stato volontario nella Marina britannica durante la Seconda guerra mondiale: voleva combattere contro il nazismo e per la libertà e la pace. Aveva così conosciuto i dolori della guerra e aveva capito che doveva cercare un'altra strada. Uscì nel 1950 dalla Marina e visse più di un decennio di ricerca religiosa, finché non incontrò la debolezza dei disabili, disprezzati nella società e trattati da marginali nella Chiesa, perché ritenuti incapaci di piena intelligenza della fede.
«I POVERI SONO I NOSTRI MAESTRI»
«Noi sperimentiamo la verità e l`urgenza di queste parole. I poveri sono maestri amanti, ma esigenti e scomodi. Ci insegnano a svuotarci dell'orgoglio e del possesso. I poveri ritrovino la speranza e scoprano che sono invitati alle nozze di Gesù, al banchetto dell`amore».
Racconta Jean: «Nel 1963 conobbi la condizione di persone con grave disabilità. Un sacerdote mi fece mettere a contatto diretto con ragazzi che non erano studenti assetati di "studio", ma si chiedevano: "Chi sono? Perché sono così? Perché nessuno mi crede? Perché i miei genitori non sono felici che io esisto?". Persone desiderose di sapere chi veramente le ama». Così nacquero L'Arche (L'Arca), nel 1964, e Foi et Lumière (Fede e luce) nel 1971. Non furono inizi facili, ma emerse una storia che continua e ha al centro le persone con disabilità mentale. L'intuizione fondamentale di questo cercatore è semplice e forte: «Gesù ci dice di essere nascosto nel volto del povero; di essere Lui il povero. Ecco perché, con la potenza del suo Spirito, il più piccolo gesto d`amore verso la persona più limitata, è un gesto d`amore verso di lui». Si compiva così una tappa decisiva della ricerca di Dio, che lo portò a incontrare Gesù nel povero, nei disabili di tutti i Paesi e di tutte le religioni. Così, per più di mezzo secolo, Vanier è stato non solo un infaticabile viaggiatore nel mondo, ma anche un amoroso ed efficiente costruttore di comunità di vita tra abili e disabili all'insegna della mutua accoglienza. Oggi ci sono 154 comunità in 38 nazioni del mondo con 10 mila membri. L'Arche, dice il fondatore, «è una comunità cristiana un po' particolare. Si fonda su una parola di fede e insieme - e soprattutto - sui corpi sofferenti e sulla compassione, su uno sguardo nuovo rivolto a ogni persona». Tra i primi, Jean ha mostrato il ruolo dei poveri nella Chiesa, non come assistiti o "clienti", ma come presenza centrale, capace di dare e dire molto. Ha scoperto come i poveri evangelizzano e parlano al cuore di tutti: «Entrare in relazione, essere trasformati dai più deboli» è l'esperienza dei poveri nella Chiesa e nella vita. Olivier Clément, teologo ortodosso francese contemporaneo di Vanier, parlava di "sacramento" del povero sulla scia di Giovanni Crisostomo. Jean ha vissuto e praticato l'incontro con Gesù nel povero.
Vanier è stato un uomo di Chiesa, aperto all'incontro con tutti: ha praticato un ecumenismo che parte dal povero. Anzi, è stato un testimone dell'unità del genere umano, dell'amicizia tra le religioni e i popoli, partendo dai poveri, perché l'amicizia con i poveri unisce. Sì, l'amicizia di chi vive con i poveri, non di chi compie un servizio burocratico, come accade purtroppo in talune istituzioni cristiane. Jean è stato uomo di pace e compassione. Aveva il carisma della compassione, che esercitava con tutti, essendo divenuto un maestro spirituale (definizione che non avrebbe mai accettato). Lo ricordo nell'ultimo incontro, pochi giorni fa, nella clinica parigina dov'era ricoverato. Emaciato e sofferente, sorrideva, pur parlando con un filo di voce. Mi diceva che avrebbe amato vivere ancora, ma non sapeva se era bene. Si rimetteva a Dio e chiedeva di pregare. Perché, simile a papa Francesco in tante visioni, chiedeva sempre, come il Papa, di pregare per lui. Ma pregava anche per gli altri: negli ultimi tempi era divenuto un intercessore per gli amici, i poveri, la pace.
Vanier tra Andrea Riccardi, 69 anni, autore di quest`articolo, e Valérie Régnier, 42, responsabile della Comunità di Sant'Egidio in Francia. Per la sua opera Vanier vinse il 18 maggio 2015 il Premio Templeton, uno dei più prestigiosi riconoscimenti mondiali destinati alle personalità religiose (a lato, con la medaglia a Londra).
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