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Hong Kong: La forza del popolo nella città avamposto della Cina in Occidente

Una vittoria dei manifestanti non pare possibile. D’altro canto, sembra difficile che la superpotenza voglia celebrare i suoi 70 anni con una grande crisi aperta


Hong Kong è all'ordine del giorno con manifestazioni popolari di protesta da più di dodici settimane. Centinaia di migliaia di persone si esprimono contro la governatrice, Carrie Lam, e l'hanno costretta a ritirare la proposta di legge per l'estradizione dei cittadini in Cina. C’è una “forza del popolo”; animata dai social, che veicola la protesta e sfida la violenza della polizia: l'abbiamo vista a Hong Kong, ma anche in Sudan, in Algeria e altrove. Anche nelle primavere arabe. È una realtà nuova del XXI secolo. Eppure, in qualche modo, questa "forza del popolo" si era manifestata con Solidarnosc in Polonia negli anni `80 contro un potere comunista screditato. Allora, la spinta della massa era accompagnata da una direzione politica - Solidarnosc e Chiesa - attenta a evitare la rottura con l'Unione Sovietica e la conseguente invasione come in Ungheria nel 1956 o in Cecoslovacchia nel 1968.

I movimenti di popolo del XXI secolo hanno una forza spontanea su cui la leadership ha un impatto relativo, ma anche difficile da reprimere con la forza. C'è gente pronta al sacrificio. La situazione di Hong Kong è particolare. Uno dei tanti problemi lasciati irrisolti dal colonialismo britannico. Il compromesso con la Cina, "una Cina, due sistemi", consente una larga autonomia e una moneta propria. Durerà fino al 2047. Non per sempre: tra non molto, si dovrà trovare un nuovo sistema di convivenza. Tuttavia la città, con i suoi 7 milioni e più di abitanti, è una formidabile piazza di mediazione finanziaria tra le più importanti del mondo. Qui passa il 65% degli investimenti stranieri in Cina e il 65% di quelli cinesi nel mondo. Anche se è diminuito il ruolo di Hong Kong nell'economia cinese (dal 17% al 3% del Pil), resta decisivo nei rapporti commerciali del gigante asiatico. Il quale pensa d'integrarlo in un vasto piano di sviluppo riguardante un'area più larga che comprende porti e città cinesi. Quale futuro? Una vittoria delle manifestazioni della gente (con la sua forza disarmata) non pare possibile. Pechino userà la forza, facendo entrare le truppe a Hong Kong? È lo spettro di Tienanmen. Tuttavia Hong Kong non è Taiwan: la Cina considera la città parte integrante del suo territorio.

Un compromesso è possibile, lasciando in vita le libertà di Hong Kong, la cui prosperità è interesse della Cina. Bisogna negoziare e non irrigidire le posizioni. Si deve capire meglio la realtà, fuori dalle semplificazioni. Hong Kong non è un paradiso. Dietro la protesta, c'è un grave problema sociale. La vita è cara; tanti, specie giovani, abitano in miniappartamenti costosi (i prezzi sono cresciuti di due volte e mezzo in 10 anni). È il frutto di uno sviluppo capitalistico che ha privilegiato i ricchi ma umiliato le classi medie e i giovani. Hong Kong non necessita solo delle libertà economiche, ma di meno diseguaglianza. La Chiesa cattolica (550 mila fedeli) è stata al fianco della società, ma non vuole che le manifestazioni prendano la via della violenza.

Tutto è complesso a Hong Kong: territorio della Cina popolare ma lembo cinese dell’Occidente. È una contraddizione vivente, ma si può e si deve trovare una soluzione. Il 1° ottobre la Repubblica Popolare Cinese celebrerà i 70 anni: forse non è interessata a farlo con una grande crisi aperta. 


EDITORIALE di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana



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