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Israele, il rebus della maggioranza

Le elezioni politiche in Israele hanno formato un nuovo Parlamento (la Knesset: 120 eletti con un sistema proporzionale) che a fatica riuscirà a creare un Governo. Sei mesi fa, la Knesset non ce la fece e fu sciolta. Qualcuno la paragona allinstabilità italiana. Un fatto è chiaro però: Netanyahu, con i 31 deputati del suo Likud (due in meno delle scorse elezioni), non sarà il perno della maggioranza. Un brutto problema per "Bibi il mago", come lo chiama parte della stampa israeliana per la sua spregiudicatezza. Non potrà contare sull`immunità dovuta al primo ministro, anche perché sta per essere portato in giudizio per corruzione. 
Ha condotto una campagna molto accesa: ha chiesto il voto per sé per arginare gli arabi che andavano in massa alle urne; ha promesso l'annessione della West Bank, i territori occupati a maggioranza araba, dove ci sono molte colonie israeliane. Oggi la sua lunga egemonia è finita. Anche col sostegno dei partiti ultrareligiosi non arriva alla maggioranza di 61 deputati. 
Sono 33 i seggi del partito blu e bianco (i colori della bandiera israeliana), guidato da Benny Gantz, già comandante dell'esercito, che - accanto al decisivo tema della sicurezza d'Israele - pone il problema di una democrazia più piena in polemica con Netanyahu. Ma anche Gantz è lontano dalla maggioranza. C'è poi il partito ultranazionalista e laico di Avigdor Lieberman, con i suoi 9 seggi, rappresentanza degli ebrei ex sovietici. 
Si farà una coalizione a tre? Chi guiderà il Governo? Non Netanyahu, che ha meno deputati di Gantz. Gli scenari sono aperti. Dal futuro esecutivo sono fuori i 13 deputati arabi, espressione della cospicua minoranza palestinese, il 20%, che non ha disertato questa elezione come avveniva in passato. Gli arabi hanno dichiarato la loro opposizione a Netanyahu, che li ha discriminati, in favore di Gantz. 
Anche se il quadro politico è fluido - come spesso nei sistemi parlamentari - la democrazia si è rivelata forte. Il sistema funziona e la magistratura è indipendente. La partecipazione araba mostra la crescita della democrazia israeliana. È stata sventata l'ipotesi di una "coalizione nazional-religiosa" guidata da Netanyahu, nota lo scrittore Yossi Halevi, «che avrebbe incorporato le frange più estreme e razziste». Non si dimentichi che la democrazia israeliana è unica in Medio Oriente (accanto a quella libanese così particolare). Soprattutto pende la grave e irrisolta questione palestinese, mentre gran parte dei partiti israeliani non credono più alla soluzione dei "due Stati"; ebraico e palestinese. 
La lotta al terrorismo è prioritaria per Israele (che teme un'influenza iraniana sul mondo palestinese). Intanto la crescita delle colonie ebraiche nei territori occupati complica la situazione. Una democrazia salda in Israele, dalla nascita quasi sempre in conflitto con i vicini, è un elemento decisivo per il Medio Oriente. La democrazia israeliana ha riservato talvolta significative sorprese nella storia. Non si vede oggi una strada facile e chiara per la pace tra arabi e palestinesi. Eppure si sente l'esigenza di finirla con il conflitto che dura da più di settant'anni, in un Medio Oriente che ha cambiato volto e nel cui futuro Israele può avere un ruolo di rilievo.

Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 29/9/2019

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