Per il nostro Paese il problema non è chi arriva ma chi va (nel 2018, 150 mila connazionali sono andati all'estero)
Tra i bambini che escono da una scuola ne vediamo tanti ormai che non hanno i tratti somatici degli italiani. Alcuni, non molti, sono adottati. Ma la maggior parte sono figli di immigrati, spesso nati in Italia. Studiano con i bambini italiani, giocano con loro, guardano il futuro insieme, che sarà quasi sicuramente nel nostro Paese.
Eppure mancano di qualcosa: la cittadinanza italiana. Gli è stata negata da una politica che teme gli umori dell'elettorato e che spesso evoca il fantasma della presunta invasione degli stranieri. Ma quale invasione? Con la nostra crisi demografica, con il bisogno di lavoratori, con la necessità delle famiglie di essere aiutate dalle "badanti", abbiamo bisogno di migranti in Italia.
Non mi stancherò mai di ripetere che il principale problema italiano sono i nostri connazionali che vanno a vivere all'estero (circa 150 mila nel 2018) e non quanti vengono in Italia, cioè gli immigrati. L'emigrazione degli italiani, particolarmente quella dei giovani, ci interroga sulla scarsa attrattività del nostro Paese. E poi i bambini, cui è negata la cittadinanza, sono cresciuti nel nostro Paese, parlano italiano e si sentono italiani. Non riconoscerli come cittadini è una contraddizione che blocca il processo di integrazione in cui sono immersi con le loro famiglie. Preferiamo confinarli nei ghetti piuttosto che inserirli nella nostra comunità nazionale?
In realtà, nella scorsa legislatura, c'è stata una proposta di legge che prevedeva l`acquisizione della cittadinanza per nati in Italia con almeno un genitore che avesse il permesso di soggiorno permanente. Si prevedeva anche la cittadinanza a un bambino straniero che avesse frequentato un ciclo scolastico e fosse minore di dodici anni. Per i ragazzi, con età superiore a questa, era richiesto il diploma. Purtroppo, la proposta, approvata alla Camera, non è andata avanti al Senato. Un grave errore dell'allora maggioranza. Ma oggi va ripresa e rilanciata. L'ha chiesto anche il presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), il cardinale Gualtiero Bassetti. Ilvo Diamanti ci dice su Repubblica che il 67% degli italiani sarebbe favorevole, secondo un sondaggio. Infatti si tratta di un provvedimento saggio, che riconosce una realtà: che tanti bambini crescono come italiani e tra gli italiani, pur essendo figli di genitori stranieri.
Nel 2011, quando ero ministro dell'Integrazione e della cooperazione internazionale del Governo Monti, lanciai l'idea dello ius culturae, in base al quale acquisire la cittadinanza. Non lo ius soli, che creava un automatismo anche per chi fosse nato casualmente in Italia. Nemmeno lo ius sanguinis, per cui si è italiani se di "sangue" italiano. Bensì un diritto maturato studiando lingua e cultura e immedesimandosi nell'identità del nostro Paese. Così si realizza un legame stretto tra scuola, integrazione e cittadinanza. Mi sembra una posizione equilibrata, che garantisce la coesione sociale e premia la "scelta" di essere italiani, manifestata attraverso l`impegno all'apprendimento.
Tramite questo processo 800 mila giovani, di cui 166 mila studenti, potrebbero diventare cittadini e crescere o maturare come italiani tra i loro coetanei italiani.
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