Cominciammo a parlarne nell'aprile scorso, di fronte a un tè. Decisivo l'intervento del ministro Lamorgese
Due isole del Mediterraneo sono simbolo della frontiera Sud dell'Europa: Lampedusa e Lesbo. Qui approdano tanti rifugiati e migranti. Papa Francesco andò a Lampedusa nel luglio 2013, da poco eletto. Con voce commossa denunciò la «globalizzazione dell'indifferenza» verso il popolo che attraversava il Mediterraneo, dove talvolta perdeva la vita. Tre anni dopo, nel 2016, il Papa era a Lesbo con il patriarca Bartolomeo e l`arcivescovo ortodosso di Atene: «Non siete soli: imploro l'Europa» fu la sintesi del suo messaggio. Il Papa, di ritorno a Roma, portò con sé una ventina di profughi siriani, accolti dalla Comunità di Sant'Egidio. Per spiegare il gesto, citò Madre Teresa: «Una goccia d`acqua nel mare, ma dopo quella goccia il mare non sarà lo stesso».
Nell'aprile 2019 andai a Lesbo. I riflettori erano spenti dopo la visita papale. Una situazione terribile. Ne ho scritto su Famiglia Cristiana. Un`afghana mi disse: «Non ho mai perso la speranza nei momenti più duri tra Iran e Turchia. Ora, dietro le reti del campo, l`ho perduta». C'erano 7 mila profughi, non solo afghani, in attesa interminabile alle porte dell`Europa. Talvolta in condizioni difficili, sotto tende spazzate dal vento. «Quale futuro?», chiesi ad alcuni ragazzi afghani che mi offrivano il tè: «Spero di mettermi sotto un camion e arrivare in Italia». Nell'attesa, circolava droga. Gente di tutti i Paesi in fuga da situazioni impossibili: un'iraniana convertita cristiana, afghani perseguitati, africani. Si sentivano dimenticati. Lesbo contava 90 mila abitanti e, dopo una fase di accoglienza, viveva forti tensioni.
Di ritorno dall'isola, ho raccontato la vicenda a Francesco. Ho visto i suoi occhi inumidirsi: «Che si può fare?», mi ha chiesto. Gli ho ricordato la frase di Madre Teresa sulla "goccia" che cambia il mare: una porta che si apre è un segno di speranza per tutti. Abbiamo pensato a un corridoio umanitario con il cardinale Konrad Krajewski, l`elemosiniere del Papa. Questi ha portato al Governo italiano la richiesta di Bergoglio: che un gruppo di profughi potesse venire in Italia. Nonostante l`impegno appassionato del cardinale, si sono presentate difficoltà e lentezze.
Il tempo passava e mi sembrava di tradire l`attesa di quei ragazzi sotto la tenda e temevo che qualcuno tentasse l`avventura sotto un camion, con gravissimi rischi. Quest`estate Sant'Egidio ha invitato i giovani europei a passare qualche settimana a Lesbo per rincuorare la vita dei campi, fare scuola e dare speranza. L'impegno è stato «non dimenticare Lesbo».
Intanto, i profughi sull'isola sono raddoppiati, arrivando a 14 mila. Oggi l'attesa per un colloquio con la commissione d'asilo arriva a due anni. I ragazzi aumentano: uno su cinque ha meno di 12 anni. La prima nazionalità sono ancora gli afghani; seguono i siriani e i congolesi. Sembra che il mondo si riversi a Lesbo, dove resta bloccato.
Finalmente, grazie al ministro dell'Interno Luciana Lamorgese, è arrivato il permesso di venire in Italia per un gruppo. Trentatré profughi sono approdati, accolti dal cardinale Krajewski e dalla Comunità di Sant'Egidio, che provvedono al mantenimento e all'integrazione.
All'arrivo a Fiumicino ho visto la gioia negli occhi dei profughi: l'Italia e l'Europa sono per loro la terra della liberazione e delle opportunità. Ho pensato a noi europei, intristiti, che guardiamo al nostro mondo come terra del declino. Dobbiamo vedere il nostro Paese di più con i loro occhi: avremo più voglia di futuro. I profughi non ci rubano il futuro, ma ce lo ridanno.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 22/12/2019
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