Il nostro Paese è preso dall'ossessione per i migranti, mentre Russia e Turchia aumentano il controllo sull'area
L'intervento russo e quello turco in Libia non sono fatti isolati, ma fanno parte della nuova realtà geopolitica del Mediterraneo. Qui Mosca e Ankara stanno allargando il loro controllo con una politica che è frutto, allo stesso tempo, di competizione tra di loro e di cooperazione. Avviene in Siria da anni. A Cipro (e ai suoi giacimenti petroliferi) non ci si avvicina senza permesso turco.
Ora Erdogan interviene militarmente in Libia a fianco del Governo al-Sarraj a Tripoli, riconosciuto dall'Onu, che appoggia diplomaticamente da tempo insieme al Qatar. La Turchia rientra in Libia, ex territorio ottomano, da dove gli italiani l'avevano cacciata nel 1911 per farne una propria colonia.
La Russia è invece dalla parte del generale Haftar, che controlla la Cirenaica e minaccia seriamente Tripoli. Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti appoggiano il generale.
Il popolo libico è ostaggio di una guerra civile che dura dal 2014 con continui colpi di scena.
Gheddafi è stato deposto e ucciso nel 2011. Voleva essere l'inizio di un tempo di libertà. Invece i libici sono oggi prigionieri del caos: tante milizie, un Paese frantumato in mille pezzi, gruppi terroristici provenienti dal Sud, interessi in conflitto. È una guerra civile in cui i molti protagonisti cambiano alleanze, mentre le influenze straniere si moltiplicano e si combattono.
Che possono fare l'Italia e l'Europa? Il nostro Paese era il primo partner commerciale della Libia (e della Siria): oggi non più. Eppure la posizione geografica dell`Italia la rende indispensabile per una soluzione del problema libico. Ma ci vuole una visione.
Non possiamo parlare di Libia solo in chiave migratoria (in passato, per questo, se ne occupava più il ministero dell'Interno che quello degli Esteri). L`Italia è stata presa dall'ossessione per i migranti e non ha visto i cambiamenti geopolitici nel Mediterraneo: l'espansione strategica turca, il ritorno della Russia, la competizione per lo sfruttamento dei grandi giacimenti. E poi l'Europa non è unita sulla Libia, anche perché la Francia appoggia il generale Haftar, a differenza degli altri Paesi europei.
Russia e Turchia, da parte loro, non solo conducono una vasta azione diplomatica, ma mandano in Libia militari loro o a loro riconducibili. Che resta da fare all'Italia e all'Unione? Il disimpegno? Magari ripetendo con vittimismo che il nostro Paese non conta più nulla? Non è vero che l'Italia non conta. Ha in Libia importanti interessi petroliferi: si pensi agli impianti dell'Eni o al gasdotto Greenstream. Ha una conoscenza unica delle popolazioni e dell'ambiente. Le recenti visite a Roma di Haftar e di al-Sarraj mostrano che l'Italia è un crocevia di rilievo.
Roma però deve trovare l'accordo con la Francia per stimolare l'Europa a un'azione incisiva, che potrebbe anche portare all'invio di caschi blu europei. Non hanno giovato gli inutili sgarbi italiani a Parigi. E la Francia non può perseguire il suo interesse fuori da un quadro europeo. Così il Governo di Roma ha la responsabilità di riprendere l'iniziativa sulla Libia, di richiamare l'Europa, di moltiplicare gli sforzi. Non possiamo, come purtroppo abbiamo fatto almeno in parte, occuparci di Libia solo per frenare i migranti o garantire gli interessi economici.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 19/1/2020
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