Tensioni, conflitti, sovranismi: un pianeta sempre più lacerato. Il Papa fa sua la lezione di Giovanni XXIII
La globalizzazione ha creato un vasto mercato e comunicazioni rapide e intense. Ma non un mondo unito. Oggi il mondo sembra abitato da tanti processi di divisione. Quella più drammatica è la guerra. Dopo un'innegabile diminuzione dei conflitti (dai 26 del 1992 ai 4 del 2007), oggi sono risaliti a 14, di cui 6 in Africa. Spesso guerre interne o a "bassa intensità", ma gravi. Inoltre, c'è la violenza diffusa, come i narcos in Messico. Ci sono "Stati falliti", come la Somalia. E poi il terrorismo destabilizza intere regioni, divide e contrappone le popolazioni, domina con la paura: 1.000 attentati nel 2001 e ben 11 mila nel 2015.
Anche i governi sono tornati a parlare tra loro un linguaggio bellicoso, divisivo, facile alla contrapposizione. Siamo troppo abituati alla guerra: lasciare aperti i conflitti per anni appare normale e accettato. Se ne vedono le conseguenze in Libia. Del resto, il nazionalismo ha grande spazio in politica. La propaganda nazionalistica o sovranista stimola il vittimismo dei popoli: «Non facciamo i nostri interessi, ma quelli degli stranieri», si ripete. Le frontiere e talvolta persino i muri vengono esaltati.
Scricchiolano le "comunità" o le alleanze tra gli Stati, come l`Unione europea o l`Unione africana o la Nato. Da pochi giorni abbiamo assistito al primo divorzio dall'Unione: quello della Gran Bretagna. Non si tratta solo di politica internazionale. I processi divisivi percorrono le società: pochi, molto ricchi, da una parte e sempre più poveri dall'altra. Le città si dividono a forbice: la gente dei quartieri ricchi non conosce le periferie. Le società si dividono. I processi unitivi, che portano alla pacificazione o alla cooperazione o alla solidarietà sociale, non vanno troppo di moda. Nel quotidiano si privilegia un approccio individuale, mentre scema l'impegno per le forme comunitarie dalla vita sociale a quella internazionale.
In un mondo globale, ma diviso, la Chiesa cattolica parla un altro linguaggio, vive in comunità e riunisce la gente. Testimonia - come può - soprattutto l`unità del genere umano. Crede al valore della famiglia, educa al senso del bene comune, è convinta del destino comune dei popoli. Lo fa perché sa - per fede ed esperienza di umanità come nessuno si salvi da solo. La Chiesa stessa però è percorsa da processi di divisione, che talvolta toccano papa Francesco, primo servitore dell'unità del popolo cristiano e grande testimone di pace nel mondo.
La Chiesa crede che la divisione e i conflitti non manifestino la positiva diversità di persone, culture o nazioni, ma calpestino le differenze. Sa che un linguaggio bellicoso o di odio può avere conseguenze gravi, oltre la volontà degli attori. Le Scritture in greco parlano del signore del male come diábolos, che vuol dire "colui che divide" e non solo il "calunniatore". La divisione non è mai un bene.
Un grande papa, Giovanni XXIII, all'origine del dialogo tra cristiani divisi, insegnava a «cercare quello che unisce e mettere da parte quello che divide». È un'arte da riprendere a praticare oggi, perché "ricuce" - dal livello interpersonale a quello internazionale - un mondo che è troppo diviso.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 9/2/2020
Commenti
Posta un commento