Flashmob dei Giovani per la Pace in ricordo di George Floyd |
Negli Usa e non solo, la crisi economica legata al virus rischia di trasformare in odio la lotta per l'uguaglianza
La morte violenta dell'afroamericano George Floyd, il 25 maggio, a Minneapolis durante un'operazione di polizia, ha riacceso con virulenza la polemica sul razzismo negli Stati Uniti. Il fatto che Floyd sia stato ucciso dal poliziotto bianco Derek Chauvin, che ha a carico 18 denunce per violenza, ha provocato un'esplosione che attraversa gli States, con attacchi alle forze dell'ordine, saccheggi e incendi. Ogni anno purtroppo si registrano decine di casi di afroamericani o africani disarmati uccisi dalla polizia. Sono noti i casi del pestaggio del tassista Rodney King che provocò la rivolta di Los Angeles nel 1992 (50 morti); i gravi fatti di Ferguson, nel Missouri, dopo l'uccisione
di Michael Brown nel 2014 o la morte di Jamar Clark a Minneapolis nel 2015, all'origine di settimane di proteste. Una catena di umiliazioni e violenze da interrompere. È anche frutto del suprematismo bianco, del culto del possesso personale delle armi e dell'autodifesa. C`è una cultura diffusa in alcuni ambienti da cambiare.
Malgrado le battaglie per i diritti civili degli anni '60, i movimenti per l'uguaglianza, gli Stati Uniti sembrano non liberarsi dal fantasma del razzismo. Papa Francesco ha detto: «Non si può tollerare né chiudere gli occhi su qualsiasi tipo di razzismo», un «peccato», «nulla si guadagna con la violenza e tanto si perde». A ogni episodio violento seguono violenze. I sostenitori delle reazioni aggressive affermano: «Gli Usa non capiscono che il linguaggio della forza». Lo spettro dell'antica tratta degli schiavi, i fantasmi della guerra civile, l'ingessata mobilità sociale pesano sugli afroamericani. Il culto della violenza si ritrova in settori della polizia.
Lo stesso linguaggio pubblico spesso incita alla violenza e rischia di essere incendiario. Gli Stati Uniti sono anche una grande democrazia che, benché convulsamente alle prese con questa parte dolorosa della storia, ha saputo anche superarla. Quando tutto sembrava perduto e che il Paese si spaccasse, l`energia di convivenza e di dialogo hanno trionfato. Tale è la grandezza del Paese: vivere terribili contraddizioni sociali restando ancorato alle risorse della democrazia. Ora purtroppo siamo in una situazione al limite.
La propaganda dell'odio si incrocia con una crisi economica fortissima e con le conseguenze del Covid-19. Non si può più scherzare con la violenza, ci vuole una svolta.
Anche l'Europa oggi si scopre alle prese con rischi non dissimili, dovuti alla crisi economica indotta dalla pandemia, alle diseguaglianze sociali, all'isolamento di strati della popolazione o alla sua periferizzazione.
Questo periodo difficile può sfociare in una stagione di ricostruzione, di solidarietà sociale e di avvio di una nuova fase di lavoro per tutti. Oppure in un'età dell'odio, frutto di marginalizzazione e disperazione. L'allarme che viene da Minneapolis è valido per tutti.
Bisogna fare presto: aiutare tutti a vivere una vita dignitosa e creare reti solidali e comunitarie. L'accorta e rapida azione dello Stato (oltre le pastoie burocratiche) deve incrociarsi con la rinascita della passione civile che porti a un lavoro generoso tra la gente. Esiste: l'abbiamo vista in tanto coraggioso volontariato nelle settimane della pandemia. Oggi c'è una società civile in parte da ricostruire.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 14/6/2020
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