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Il caso Mondragone insegna alla politica a ripensare il territorio

I palazzi ex Cirio di Mondragone - Foto Cosimo Antitomaso da Facebook
La tensione divampata nel ghetto dei bulgari riporta a galla storie di miseria, abbandono e sfruttamento

A Mondragone, il governatore della Campania De Luca ha chiuso quattro edifici, i "palazzi ex Cirio", dopo la conferma di ben 49 contagi di Covid-19. È un'area abitata prevalentemente da famiglie bulgare che vivono di lavori marginali. Qualcuno ora manca all'appello. Qualcun altro, risultato positivo, è scappato. Il fatto è preoccupante. Invece un'ottantina di persone sono state portate altrove per essere isolate e curate. 
È una situazione difficile da tempo. C'è chi abita abusivamente gli alloggi. Alcuni vivono di lavori saltuari, altri sono braccianti o edili. Spesso i caporali li reclutano senza contratto, con turni pesantissimi. Bisogna conoscere da vicino il mondo dei bulgari (che sono cittadini europei), i quali vivono in una forte marginalità e arretratezza anche culturale, con grandi limiti linguistici e comunicativi, spesso sfruttati specie per i lavori agricoli. Non mancano anche lo sfruttamento minorile e la prostituzione. 
Il "ghetto" bulgaro è un luogo triste e infelice: una di quelle isole di dolore cui la politica non ha posto mente in modo fattivo e creativo, tollerando e talvolta reprimendo. 
Ma ci vuole un pensiero sul territorio. I contagi hanno preoccupato la popolazione di Mondragone, allarmatasi soprattutto quando un gruppo di bulgari ha tentato di uscire dall'isolamento per cercare cibo (forse - sostengono alcuni - non avevano capito bene la loro situazione sanitaria). Altri parlano di una protesta dei bulgari affamati e senza lavoro. L'uscita dalla zona di sicurezza ha creato ansia nella popolazione. C'è stata una risposta (limitata) con una sassaiola di un gruppo. La rabbia è stata sfruttata dall'estrema destra. Poi le autorità hanno ripreso il controllo della situazione con la presenza delle forze dell'ordine e dell'esercito. Salvini ha tentato di soffiare sul fuoco recandosi a Mondragone. La popolazione, pur preoccupata della situazione sanitaria, è rimasta calma. 
Il problema è la condizione dei bulgari e la loro scarsa integrazione con gli altri abitanti. Mancano mediatori culturali e assistenti sociali, figure di prossimità (su cui non si investe) che evitino processi di ghettizzazione. Il contagio del Covid-19 ha fatto esplodere una tensione che covava sotto la cenere tra i bulgari e una comunità preoccupata della propria salute. 
Se servono non italiani per il lavoro dobbiamo dare loro non solo case ma condizioni di integrazione. Del resto il Comune di Mondragone si trova a misurarsi con circa il 10% degli abitanti non italiani, in particolare bulgari, romeni e ucraini, polacchi, ghanesi e tunisini. 
La lotta alla criminalità, che si insinua in questi ambienti, sfruttandoli, e l'integrazione (taluni sono cittadini europei) sono alla base di una politica di sicurezza sociale a beneficio di tutti. Bisogna dar atto che Mondragone poteva essere l'inizio di un incendio oltre quella località. Taluni lo auspicavano anche per contestare il processo di regolarizzazione e affermare l'insensibilità dello Stato ai bisogni degli italiani. 
L'incendio non c'è stato grazie alla responsabilità delle autorità e della popolazione. C'è bisogno di risposte di lungo periodo: si cominci con il fare una mappatura delle situazioni critiche e intervenire su quelle.

Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana
 del 12/7/20202

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