Occorre passare dalla protesta alla politica, arginando i clan e i loro interessi. L'Italia non può stare a guardare
Sono stato in Libano, la prima volta, nel 1982. Era in corso una terribile guerra civile dal 1975, conclusasi nel 1990. Ricordo il centro di Beirut distrutto e la città divisa tra le fazioni in armi. La cattedrale greco-cattolica profanata, le icone spezzate e rubate. Si combattevano gruppi cristiani e musulmani. Un grave problema era la presenza dei profughi palestinesi (ancora oggi più di 400 mila).
Nel 1975 era saltata la convivenza interreligiosa. Prima si diceva: il Libano ha due ali, cristiani e musulmani, e così vola! "Volava" come la Svizzera del Medio Oriente: intreccio tra affari e vita mondana, spazio europeo, libero tra le dittature arabe, nazionaliste e socialiste. Funzionava. Ma non si rafforzò lo Stato né si fece una politica di inclusione delle masse diseredate, tra cui gli sciiti. Per loro Hezbollah è stato il riscatto sociale e oggi è una presenza militare più forte delle forze armate dello Stato.
Il Libano è un vaso fragile tra i vicini: prima la Siria (alleata di Hezbollah), che mal tollera la sua indipendenza, la controlla e, nel 1976, è intervenuta militarmente nel Paese. Nel 1990 avvenne la pacificazione.
Tornando a Beirut nel 2012 vidi la città ricostruita. Ma sotto il traffico turbinoso e il giro degli affari covava il fuoco. Le confessioni religiose sono passate in secondo piano. Clan politici e affaristici prosperano. Lo Stato è debole. Le influenze straniere forti. L'Arabia Saudita ha dato molto per ricostruire il Paese, bilanciando la Siria. La Turchia confina a nord.
Inoltre, con la guerra civile in Siria, si sono riversati 1.500.000 rifugiati su 4.500.000 libanesi. C'è stata l'evacuazione dei "corridoi umanitari" verso l'Italia condotta da Sant'Egidio e protestanti.
La terribile esplosione del 4 agosto che ha devastato Beirut suscita tanta rabbia tra la gente che protesta, cristiani e musulmani (pure sciiti, sebbene non molti): chiedono uno Stato di diritto, non confessionale, la fine del potere dei clan, della corruzione e dell'affarismo. I poteri forti guardano impacciati a un movimento che lotta a mani nude, espressione del Libano migliore, giovane, globale. Gli Hezbollah sono imbarazzati. Il presidente Aoun, maronita e loro alleato, ha le mani legate. Il Governo si è dimesso.
La miseria è grande, specie dopo l'esplosione. Tanti sono senza casa. Molti sono tentati di emigrare, come nella guerra 1975-1990. La situazione non è facile. Il movimento di protesta ha tutte le ragioni, ma è fragile di fronte ai poteri armati. Bisogna passare progressivamente dalla protesta alla politica per costringere i "poteri forti" ad accettare il cambiamento.
La protesta deve trovare i suoi leader politici. Il Paese non può morire, strangolato da poteri libanesi e regionali. L'Italia ha 1.200 soldati nel corpo di pace dell'Onu. Non possiamo essere assenti politicamente né nasconderci tra le incomprensioni europee. Sarebbe imperdonabile. La caduta del Libano aprirà la strada all'imbarbarimento dei Paesi mediterranei. La Francia, con la visita di Macron, ha mostrato la volontà di esserci. L'Unione europea va nello stesso senso.
L'Italia, l'Europa devono contribuire alla rinascita di un Libano pluralista e democratico: terra di incontro tra Oriente e Occidente. Oggi l'Europa è necessaria per un Libano che sia dei libanesi.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 23/8/2020
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