Di fronte all'insicurezza e alla solitudine, bisogna ripopolare di fraternità le città e ricostruire le relazioni
Nelle chiese, dopo le settimane del Covid-19, sono riprese le liturgie con le misure prescritte per evitare il contagio. Qualcosa è cambiato, però. Non si può fare finta che tutto sia come prima. Lo si nota dalla partecipazione alle celebrazioni, meno alta di prima. Meno anziani che, per giusti motivi di prudenza, rimangono a casa. Ma non devono essere dimenticati.
Resta la ferita per la morte di tanti, specie in alcune regioni, per la pandemia. Spesso morti soli. Nel caso dei decessi, anche di altra natura, si è vissuta la dolorosa mancanza del funerale. Tutti hanno misurato la fragilità della propria vita a contatto con il pericolo. Abbiamo vissuto un periodo "ritirato"; in casa e in famiglia, in cui si sono sentite in modo inedito la forza e la debolezza dei rapporti, nonché la solitudine.
Anche per i sacerdoti è stato un tempo particolare per l'assenza della liturgia con il popolo. In due millenni, mai si era sospesa la Messa nella Penisola. Nemmeno con le guerre. È un unicum nella storia che simboleggia l'eccezionalità della situazione, anche religiosa.
L'Italia si è impoverita. Per alcuni sino alla fame. La mancanza di lavoro e la chiusura di attività hanno diffuso senso di precarietà e incertezza sul futuro. Per i giovani, ma non solo. C'è insicurezza. È venuta l'estate, con la voglia di riposo, di svago, con quell'aspetto di rottura festosa che porta con sé. Ma non si può nascondere che ci troviamo all'inizio di una stagione di "ricostruzione` (economica, ma anche spirituale).
Nell'intimo di molti sono nate nuove domande sul senso della vita. O forse sono risorte. La presenza del Papa ci ha accompagnati. Si pensi al 27 marzo, quando in piazza San Pietro, vuota e battuta dalla pioggia, Francesco, da solo, sembrava il "grande intercessore" per un popolo in grave difficoltà. Oggi, dopo queste settimane di solitudine, bisogna riprendere il dialogo con le persone, segnate dal senso di fragilità. In fondo è il messaggio, abbastanza trascurato, della Evangelii gaudium: uscire, incontrare, dialogare alla luce del Vangelo.
Questo periodo ha mostrato nei fatti come «non è buono che l'uomo sia solo», dice la Genesi. Tutti i legami nella società, da tempo, si vanno allentando e sfilacciando. Invece sono decisivi. Bisogna ripopolare di fraternità le nostre città, ma anche il mondo rurale, che rischia di diventare una specie di periferia.
Occorre ricostruire le comunità cristiane con un lavoro di tessitura umana, facendo sì che siano capaci di accogliere quanti si sono posti nuove domande. In questo periodo difficile si sono mostrati molti che hanno manifestato generosità e desiderio di aiutare gli altri. Vanno ritrovati quanti sono piombati in un cristianesimo individualista, fatto magari di Messe in Tv senza legami.
Si apre un nuovo inizio per il cristianesimo in Italia. Nessuno ha il monopolio di questa missione né questa deve pesare solo sul clero. È l'ora dell'Evangelii gaudium. Così scrive papa Francesco: «Essere discepolo significa avere la disposizione permanente di portare agli altri l'amore di Gesù e questo avviene spontaneamente in qualsiasi luogo, nella via, nella piazza, al lavoro, in una strada». Bisogna saper leggere i segni dei tempi: nelle ferite e nelle domande lasciate dalla pandemia ci sono tante richieste di amore, vita nuova, speranza.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 9/8/2020
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