Uno sportello per la regolarizzazione degli stranieri - Foto Sant'Egidio |
Il ritorno del permesso di soggiorno per motivi umanitari e altre misure favoriscono l'integrazione
È da salutare positivamente il nuovo decreto legge in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, che ripristina il rispetto della dignità dei richiedenti asilo. Rinasce il "permesso di soggiorno" per motivi umanitari (ora detto "protezione speciale"), concesso agli stranieri per motivi umanitari o perché sono protetti da obblighi costituzionali o internazionali dell'Italia.
Il permesso dura due anni e potrà essere convertito per motivi di lavoro. È una svolta. Infatti, i decreti del 2018 avevano cancellato le clausole di protezione umanitaria, facendo piombare molti stranieri nell'irregolarità. Il viceministro dell'Interno Matteo Mauri ha parlato di 33 mila persone finite fuori dai circuiti, di cui molti per strada. Questo ha reso loro la vita impossibile, aumentando le tensioni sociali. Inoltre sono tanti che in questi quindici mesi non hanno potuto avere il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Perché?
Lo scopo dichiarato dei decreti del 2018 era difendere la sicurezza degli italiani con respingimenti ed espulsioni facili. Ma sono parole. Anzi, si creavano difficoltà con tanti migranti non inseriti in un sistema di accoglienza e lasciati per strada. E poi, nei quindici mesi di Matteo Salvini all'Interno, sono stati fatti 8.383 rimpatri. Marco Minniti ne aveva fatti 8.309 sempre in quindici mesi. Le espulsioni non sono aumentate, ma è molto peggiorato il livello di integrazione e la regolarità delle procedure verso i richiedenti asilo.
Il nuovo decreto, invece, ripristina il sistema di accoglienza dei richiedenti e dei rifugiati diffuso sul territorio in piccoli gruppi, oltre all'assistenza, l'insegnamento dell'italiano, l'iscrizione al Servizio sanitario nazionale (tutto questo era stato abolito). Viene ridotta la permanenza nei centri per il rimpatrio da 180 giorni a 90. Cambiamenti si sono verificati anche per il soccorso in mare. Il nuovo decreto porta il tempo di attesa per la cittadinanza da quattro anni a tre (erano due prima di Salvini).
Qui c'è una riflessione seria da fare sul rapporto tra integrazione e cittadinanza, che richiederebbe una nuova normativa e che desse ai bambini figli dei non italiani la possibilità di divenire italiani con lo ius culturae. Sono quasi dieci anni che se ne parla e non si è mosso niente. Un aspetto del decreto (tra i più positivi) è la convertibilità dei permessi di soggiorno in permessi per motivi di lavoro (impossibile dal 1998) per alcune tipologie: per protezione sociale, calamità, residenza elettiva, motivi religiosi, assistenza minori e altro. Così si facilita l'integrazione, che genera sicurezza per tutti. Importanti sono stati i provvedimenti di regolarizzazione per i lavoratori dell`agricoltura e le badanti.
Ma ci sono alcune difficoltà da rimuovere per chi si regolarizza dopo la crisi del Covid: il limite di sei mesi di soggiorno all'estero che fa perdere il permesso di soggiorno (alcuni non possono rientrare in tempo per la pandemia, e poi perché penalizzare chi sta all'estero a lungo?), il limite di reddito per la regolarizzazione (difficile in questo periodo), l'idoneità alloggiativa. Ma il buon senso della politica e dell'amministrazione può aiutare. Infatti si tratta di avere una visione degli stranieri non come una massa di invasori, ma come una realtà che accompagna l'Italia nella crescita e nelle difficoltà. Lo sanno le tante famiglie aiutate da badanti immigrate. Lo dice l'imprenditoria. Abbassare i toni e lavorare per l'integrazione è un grande servizio e un atto di onestà. A vantaggio di tutti.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 18/10/2020
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