Nemmeno Paolo VI lo volle, ma occorre un nuovo De Gasperi capace di unire le diverse anime del cattolicesimo
Dopo il recente appuntamento elettorale, torna una domanda ricorrente chiuse le urne: dove sono i cattolici? Chi ha più anni ricorda la Dc, partito cattolico centrale nella politica italiana.
Poi è venuto il tempo della diaspora politica dei cattolici, che si ritrovano - più o meno - in tutti i gruppi politici. Oggi non si può parlare di un elettorato cattolico. Ma ciò significa irrilevanza per la Chiesa e i cattolici? Questi non sono tempi di rilevanza. Dispiace, perché in Italia si sente il bisogno di parole innovatrici e cariche di speranza dopo la crisi del coronavirus.
Non si deve ricominciare come prima. L'Italia ha bisogno di più solidarietà, di riforme, a cominciare dal sistema sanitario, di lavoro, specie per i giovani e il Mezzogiorno. Il contributo di pensiero e d'impegno dei cattolici è importante. Essi sono, con la Chiesa, radicati in tanti luoghi della vita sociale: sono una rete significativa.
Eppure manca una visione. È la malattia della politica, che ha divorziato dalle idee. Paolo VI aveva colto il cuore della crisi e diceva: «Il mondo soffre per mancanza di pensiero». È un problema di tutte le componenti della società. Ma i cattolici non possono rinunciare a discutere sul futuro del Paese, a trarre idee dal loro patrimonio storico, ma anche dal contatto impegnato che non pochi di essi hanno con la società, le sue attese e i suoi dolori. La carità stessa stimola visioni e sogni.
Il problema oggi non è se costituire o no un gruppo politico cattolico. I cattolici hanno posizioni diverse in politica.
Manca un "federatore", come fu ai tempi della Dc di De Gasperi, capace di riunire le diverse anime del cattolicesimo: un'opera che, allora, fu voluta da Pio XII, dai vescovi e dalle organizzazioni cattoliche. Non è questa oggi la posizione della Chiesa. Non c'è una spinta propulsiva verso un cattolicesimo politico. Non si può vivere di modelli passati. Dopo la fine della dittatura in Spagna, Paolo VI non puntò sulla nascita di un partito cattolico. Anche dopo l'89, in Polonia, nonostante Solidarnosc fosse stata decisiva per la fine del comunismo, non si andò al partito cristiano.
Questo non giustifica irrilevanza. Anzi, bisogna aprire un grande dibattito tra cattolici sul futuro. È un'occasione propizia, a confronto con la crisi del coronavirus, che fa pensare sui limiti e le nuove necessità della società. È un dovere riflettere sul bene comune del Paese, dopo tre decenni di
globalizzazione, che hanno radicalmente mutato gli orizzonti e mostrato il bisogno di Europa che ha l'Italia. Soprattutto la prossima enciclica di papa Francesco, Fratelli tutti, sulla fraternità e l'amicizia sociale, offre l'occasione di un grande dibattito sulle responsabilità nei confronti della società e del futuro. Il testo contiene elementi importanti della visione di Bergoglio e della Chiesa sul mondo di oggi: è uno stimolo al ripensamento e alla discussione. Un vero dibattito tra cattolici e tra chi vorrà parteciparvi contribuirà a una visione condivisa, riscattandoci da una politica di slogan o nostalgie.
Editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 4/10/2020
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